Bon Jovi – La recensione di “Forever”
“Forever” è l’album di un artista che ha molto da celebrare e nulla da dimostrare
Nel 2022, la notizia dell’intervento alle corde vocali di Jon Bon Jovi ha suscitato molte speculazioni sul futuro della leggenda del New Jersey. Ora, due anni dopo, Bon Jovi è tornato per tranquillizzare tutti e mettere le cose in chiaro. Per fare ciò, ha trasformato il suo quintetto in un “settetto”, rendendo a pieno titolo membri ufficiali John Shanks ed Everett Bradley.
Anche se il trasferimento può sembrare l’ennesimo omaggio al suo idolo Bruce Springsteen e alla sua E-Street Band, Shanks è anche responsabile della produzione e della composizione di molti brani, quindi sarebbe stato ingiusto non dargli il riconoscimento che merita. “Forever” fa seguito a “2020”, la cui maturità e impegno sociale hanno segnato un punto di svolta nella carriera di Bon Jovi.
Dentro l’album
Ma se il suo predecessore è stato segnato dalla pandemia del Covid-19 e da altri disordini sociali, la nuova opera è totalmente legata alla vita del suo autore, che non esita a guardare indietro alla sua esistenza con una nostalgia benevola e pacata. Nostalgia che è evidente in molti dei testi. “Legendary” e “We Made It Look Easy”, ad esempio, ripercorrono la strada percorsa dalla band americana, vantando allo stesso tempo un’energia contagiosa e riff e ritornelli inarrestabili.
Il delicato valzer della ballata ‘Kiss The Bride’ vede il cantante alle prese con il matrimonio della figlia, mentre l’inquietante crepuscolare ‘Hollow Man’ suona come il testamento di un artista che sembra pronto a concludere la sua carriera con serenità, avendo ottenuto tutto ciò che desiderava. È anche divertente notare che, per rafforzare questo ritorno alla sua storia, Bon Jovi non esita a tirare fuori il talk-box sull’irresistibile ‘Living Proof’, anche se aveva reso leggendario ‘Living On A Prayer’. Per quanto riguarda “The People’s House”, ricicla efficacemente il riff di “Keep The Faith” come una canzone unificante sui valori della comunità.
E poiché il leader dell’ormai “settetto” non ha mai nascosto la sua ammirazione per il Boss, al punto da iniziare una certa mutazione artistica verso l’ineluttabile identità del suo modello, non sorprende trovare qualche cenno a lui in quest’opera. Che si tratti del rock energico di “Walls Of Jericho” o della ballata malinconica “My First Guitar”, l’ombra di Springsteen è evidente. La prima metà di “Hollow Man” ricorda “Nebraska”, anche se poi raggiunge un climax superbo.
Conclusione
“Forever” potrebbe fungere da superbo testamento musicale, ma è anche un’ulteriore prova dell’ispirazione e della saggezza di cui è oggi dotato il suo progenitore. Abbracciando pienamente le sue radici e la sua storia, Bon Jovi offre un lavoro vario, profondo e accattivante. Man mano che la band cresceva, crescevano anche i legami tra i suoi membri, che si sono stretti attorno al loro leader dopo tutte le difficoltà che hanno attraversato. Commovente e stimolante, possiamo solo sperare che quest’opera non sia l’ultima della band, anche se rappresenterebbe un inizio verso la luce.
La dice lunga, tuttavia, il fatto che Jon scelga di chiudere questo ritorno con Hollow Man, un brano scarno e inquietante che come già detto in precedenza riecheggia “Nebraska” del suo eroe Bruce Springsteen. “Cosa scrivi quando il libro è finito?” chiede, tornando all’idea che questa potrebbe essere la fine. Se lo è, non può esserci inchino finale più appropriato e signorile per una delle figure più popolari della storia del rock. Ancora una volta, dunque, con sentimento.
a cura di
Mattia Mancini