GeneriAmo – Un genere, cinque dischi: il rock alternativo italiano anni ‘90

Fonte: Supergossard

La nostra rubrica sui generi musicali che amiamo oggi parla della scena rock che ha segnato la musica italiana dal 1990

Il rock in Italia non ha mai visto tanto successo quanto quello raggiunto tra l’ultimo decennio del Novecento e gli anni successivi al Millennium bug. Grazie anche all’avvento di internet, comincia ad emergere una rete di artisti, provenienti da varie zone del centro e del nord del Paese, capaci di prendere le distanze e schifare letteralmente i colleghi mainstream e la scarsa qualità del loro lavoro. Fissano un chiaro confine tra “noi” e “loro” costruendo una barriera fatta di chitarre distorte, urla e poesia.

Come i gruppi rock che avevano caratterizzato musicalmente gli anni precedenti (Litfiba, Diaframma, Decibel), hanno delle chiare influenze new wave angloamericane, ma a differenza di essi, riescono ad attrarre l’attenzione dei media e a raggiungere gli mp3 di gran parte dei giovani italici. Anche il magico mondo della televisione si accorge di loro: MTV, in programmi come “Il muro”, “Supersonic” o “MTV Sonic”, dà spazio ad artisti ignorati dall’opinione pubblica.

MTV Digital Days 2002 – Fonte: Supergossard
Inter-media

In particolare, gli MTV Digital Days, proseguiti fino al 2016, hanno permesso dieci ore di musica con le esibizioni dei maggiori esponenti della scena. Nell’edizione del 2002, in diretta nazionale, un giovane con una camicia dal colore discutibile spacca una chitarra malfunzionante sul palco. Era Manuel Agnelli. In un’intervista successiva dirà: “E mi rendo conto, man mano che stiamo suonando, che siamo davanti a gente che non c’entra niente con noi”. Con una frase, riesce a mettere in luce tutte le divergenze e le contraddizioni del mondo musicale dell’epoca.

Ma i rocker alternativi del bel Paese riescono ad attirare soprattutto l’attenzione di etichette capaci di fare da ponte con le major e garantire contratti “ai divergenti”. È il caso della Mescal, fondata da Luciano Ligabue e Valerio Soave nel 1993, diventata a tutti gli effetti indipendente nel ’97, grazie alla quale sono stati pubblicati molti dei migliori dischi del decennio. La stessa casa discografica, nel 2001, ha finanziato lo storico festival itinerante gestito dal leader degli Afterhours che ha fatto suonare in giro per l’Italia un gran numero di band alt-rock: il “Tora Tora!”. 

Come poter raccontare il periodo se non con la musica stessa? Abbiamo selezionato cinque album di cinque band indispensabili per per comprendere fino in fondo quegli anni.

Cover “Hai paura del buio?”, Afterhours
Afterhours – “Hai paura del buio?”

Partiamo da personaggi già citati precedentemente. Nel 1997, gli Afterhours pubblicano per la Mescal “Hai paura del buio?”, il disco che diventa il vero e proprio simbolo di un’intera generazione. Pop, punk, grunge, hardcore: si tratta in realtà di un lavoro talmente curato e articolato da camuffare le proprie influenze. Pezzi come “1.9.9.6.”, “Senza Finestra”, “Musicista contabile” o “Sui giovani d’oggi ci scatarro su” danno un’immagine chiara di quelle che erano le idee dilaganti tra i giovani che si trovavano sotto e sopra il palco. Nel 2014 verrà ristampato con l’aggiunta della bonus track “Televisione” e di una versione con le collaborazioni di vari artisti. Scelta molto contestata dalla critica, vista in antitesi con il pensiero originario che ha mosso la scrittura del disco.

Cover “Metallo non metallo”, Bluvertigo
Bluvertigo – “Metallo non metallo”

Coevo ad esso, arriva “Metallo non metallo” dei compagni di etichetta Bluvertigo. Un album con testi apparentemente demenziali, ma iconici, orecchiabile, ma musicalmente assurdo allo stesso tempo. Consiste nella parte centrale della “Trilogia chimica” iniziata nel ’95 con “Acidi e basi” e conclusa con “Zero”. Unendo l’elettronica kraftwekiana e il funk al rock, si pone proprio “Fuori dal tempo”. La psichedelia che lo caratterizza, rende l’album contemporaneamente ostico e affascinante. Probabilmente è a causa di queste sue caratteristiche che avrà poco seguito sia all’interno della scena che al di fuori di essa negli anni successivi.

Cover “Catartica”, Marlene Kuntz
Marlene Kuntz – “Catartica”

Torniamo a qualche anno prima, nel 1994, dal Consorzio Produttori Indipendenti ovvero l’etichetta indipendente fondata da Gianni Maroccolo, Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti, Giovanni Gasparini, Marzio Benelli e Gianni Cicchi, nasce “Catartica”, il primo album Marlene Kuntz. La musica italiana non è mai stata così distorta. I testi barocchi del cantante Cristiano Godano, accompagnati da sonorità post hard core e completamente innovative per l’epoca, aprono le porte ad una nuova poetica diretta e anticonvenzionale.

Cover “Lungo i bordi”, Massimo Volume
Massimo Volume – “Lungo i bordi”

L’anno successivo, per l’EMI Music Italy, viene pubblicato “Lungo i bordi”, il secondo disco dei Massimo Volume dopo “Stanze”. La famosa band “che non canta” dalla formazione tormentata porta alla popolarità lo spoken in lingua italiana trasformando i propri limiti in caratteristiche peculiari. Influenzato dalla letteratura del ‘900, l’album racconta scene verosimili con un linguaggio tipico della narrativa tradizionale, ma che risulta assolutamente innovativo inserito all’interno di pezzi rock. Dalle case occupate del Pratello, dagli strumenti di cinque studenti brilli di Bologna, arriva uno dei migliori capolavori del ’90.

Cover “Verdena”, Verdena
Verdena – “Verdena”

Nel 1999, esordiscono tre sedicenni dai capelli colorati che somigliano ai Nirvana con il loro album eponimo “Verdena” (Black Out – Universal). A distanza di ventitré anni ci stiamo ancora chiedendo se i loro testi abbiano senso o meno, ma la verità è che non ce ne è mai fregato nulla delle loro parole. Cupi, a tratti emo, hanno sputato fuori tutta la loro rabbia adolescenziale in pezzi dotati di un inspiegabile misticismo. Mostrano tutta la loro dedizione evolvendo e trasformando il loro sound nel corso degli anni, stupendo di continuo i propri fan.

Non sappiamo se effettivamente negli anni successivi il rock sia morto o meno. Sicuramente il confine definito da questi gruppi per dividere la musica vera e viscerale da quella commerciale si è via via dissolto. Da quando l’underground è diventato indie tutto è cambiato: le chitarre sono passate di moda, la rabbia è scemata e il conflitto ha assunto un’accezione negativa. Gli anni ’90 sono finiti, non ci resta che ricordarli con nostalgia ma, chissà, potremmo avvertire nuovamente l’esigenza di distinguerci tramite una forma d’arte nuova ed alternativa.

a cura di
Lucia Tamburello

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