I Vintage Violence tra provocazione e analisi

Fonte TuttoRock

Fonte: TuttoRock

I Vintage Violence sono una band di Lecco nata nel 2001 tra i banchi di scuola. Il 19 novembre è stato pubblicato il loro ultimo album “Mono” prodotto da Maninalto! Records. Il disco, intriso di riferimenti filosofici e letterari, ci dona un’aspra critica sulla realtà che ci circonda con un taglio ironico e sarcastico. I Vintage Violence si pongono a metà strada tra punk e cantautorato evitando accuratamente qualsiasi convenzionalismo.

Non potevano scegliere modo migliore per festeggiare i loro 20 anni di carriera. Se siete stanch* di ascoltare “Radio Italia”, dei soliti testi banali, del pop e della gente che non si espone, i Vintage Violence fanno al caso vostro. Ci siamo addentrati meglio nel loro modo di vedere le cose ponendogli qualche domanda.

Partirei parlando del primo singolo “Piccolo tramonto interiore”, che con “Zoloft” ha anticipato l’uscita dell’album. Ho notato una sorta di riassunto delle puntate precedenti. Ad esempio “Chi si droga smetta, chi non lo fa inizi” mi ha ricordato “Drogato e non drogato sono estremi da evitare” in “Finiremo tutti in ospedale”. Oppure la frase “Ti convincono a votare per il male minore” mi ha rimandato a “La mia scheda elettorale anche quest’anno è da bruciare” all’interno del brano “Comunione e liberazione”. È stato un effetto voluto?

Col passare del tempo quello che ci auto-diagnosticavamo come pessimismo cosmico post adolescenziale si è rivelata una lucidissima e matura lettura dell’oggi. Per questo tra i testi più provocatori e quelli più analitici ci sono dei punti d’incontro, perché abbiamo visto confermare nel mondo reale le contraddizioni che inizialmente attribuivamo a noi stessi.

Ascolta “Mono” su Spotify
Siete una delle poche band a resistere al postmodernismo e all’individualismo. Dietro i vostri testi c’è un manifesto ben definito. È difficile mantenere questa caratteristica dato lo scarseggiare di influenze di questo tipo?

È difficile nella misura in cui manca un ambiente che “ti trascina”: in questo senso ci sentiamo abbastanza soli e sempre senza una precisa collocazione, cosa che rende quello che facciamo magari più “prezioso” ma anche infinitamente più faticoso da diffondere.

In “Dicono di noi ci ricordate: “L’arte deve scolpire la realtà, non solo raccontarla”. I vostri pezzi, è impossibile ignorarlo, hanno uno spiccato intento rivoluzionario. Pensate che la musica, l’arte in generale possa cambiare il corso degli eventi o che sia solo una buona compagna dell’azione pratica?

Essendo la nostra specie tutt’ora “in evoluzione” dall’animale a un essere (potenzialmente) puramente razionale, ci abitano entrambe queste componenti e viviamo sulla nostra pelle quotidianamente la contraddizione natura vs cultura.

Il nostro stesso corpo esprime questo essere “in evoluzione”, quindi siamo stimolati al cambiamento sia a livello intellettuale-razionale che istintivo-viscerale: quello che è davvero in grado di provocare un cambiamento reale nell’individuo è quindi qualcosa che ne tocca le corde emotive più profonde (come appunto l’arte e la musica in particolare, che per Schopenhauer rappresentava l’arte più universale), con solide radici nella realtà che vuole cambiare quindi che possa resistere alla prova della critica razionale. In pratica un discorso al cuore abbastanza solido da resistere al tempo.

Le collaborazioni con artisti abbastanza popolari (Enrico Gabrielli, Karim Qqru, Nicola Manzan) vi hanno aiutato a raggiungere un maggior numero di ascoltatori rispetto a prima?

Minimamente, ma non era questo l’intento quando abbiamo pensato a queste collaborazioni: hanno davvero tutti impreziosito in modo unico i pezzi in cui hanno suonato.

Avete da poco pubblicato il video di “Astronauta”. Anche questa volta evidenzierete il costo della produzione? Ci parlate delle motivazioni dietro questa scelta?

Questa volta il costo non è vicino allo zero, come per i videoclip autoprodotti di “Piccoli intrattenimenti musicali”: si tratta di una produzione dal costo comunque medio-basso ma che ci ha tenuti impegnati per oltre un anno. Detto così sembra assurdo ma si tratta di un videoclip molto, molto particolare, e una volta che l’avrete visto vi sarà chiaro. Quello che lega tutti i nostri video è la volontà di discostarci dalla classica clip con i musicisti che suonano in playback con un bel fondale: per noi è solo un’altra occasione per fare qualcosa di sperimentale e divertente.

Avete un rapporto abbastanza estremo e viscerale con il palco. È sempre stato così o è mutato nel corso di questi 20 anni di carriera artistica?

È stato così dalla prima volta che siamo saliti su un palco, vent’anni fa, nel 2001. A Stage Odyssey.

Avete altre date in programma?

Sì, le pubblicheremo man mano sui nostri social dopo la presentazione al Legend!

a cura di
Lucia Tamburello

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