Iron Maiden, “Senjutsu”. Cosa diavolo avete fatto?

iron maiden senjutsu dettaglio

Il ritorno della Vergine di Ferro che, nonostante qualche colpo di ruggine, continua ad andare avanti. E a dare lezioni, nonostante tutto, nel bene e nel male.

“Writing On The Wall” ha spiazzato un po’ tutti (complice anche un ottimo video con una qualità audio pessima), “Stratego” sembrava un singolo per i nostalgici del galoppo di vecchia scuola. Gli Iron Maiden, insomma, pareva volessero tentare di avere la botte piena e la moglie ubriaca, come si suol dire. “Senjutsu”, invece, è un album molto a fuoco e che mette anche molta carne al fuoco, sin dalla title track che apre questo disco: una delle opener più azzeccate dal 2000 a oggi. Granitica, ben strutturata, lunga, ma ehi, gli Iron Maiden di oggi sono questi: tentano soluzioni complesse, ogni tanto fin troppo prolisse, ma disco dopo disco continuano ad affinare questo proposito.

Un viaggio, questo, iniziato non tanto negli Anni ’80 con sporadici episodi come “Seventh Son Of A Seventh Son”, “To Tame a Land” o “The Rime Of The Ancient Mariner”, ma a partire da “The X Factor”. Lì ci sono i primi veri tentativi di strutturare i brani in maniera differente (rispetto alla storia degli Iron Maiden, ovvio). “Virtual XI” è stato un disastro perché voleva continuare su quella direzione, ma senza basi solide. Risultato? Un disco prolisso con brani inutilmente annacquati.

Secondo me il vostro fotoritocchista vi odia
Steve, di’ “grazie” al trio

Diciamo subito che “Senjutsu” esaspera alcuni dei punti di forza di “The Book Of Souls” e compie un’azione non da poco: permette a Bruce Dickinson di sforzare meno la voce verso note troppo alte. “Ma cosa dici? Sei impazzito?” No. Era evidente che negli ultimi anni Bruce sforzasse fino a realizzare un cantato quasi strozzato o sguaiato (ricordate “Speed Of Light” o quell’orribile “El Dorado”, vero?).

In “Senjitsu” questi episodi ci sono ancora, ma molto più controllati, meno invasivi.

Steve Harris, inoltre, deve ringraziare il trio. Non tanto di chitarre, ma Dickinson, Smith e Gers. Gli episodi migliori dell’album sono infatti scritti da loro. “Darkest Hour” non sfigurerebbe in un album solista di Bruce… infatti è scritta dal duo Smith/Dickinson, cosi come “Days Of Future Past”, il brano più breve della tracklist, che porta con sé chiaro il marchio di Adrian Smith e con l’Air Raid Siren molto a suo agio anche nei punti più alti e più aggressivi. Senjutsu stessa ha lo zampino del chitarrista, pur essendo stata scritta in coppia con il boss.

A Janick Gers gli si vuole bene, è un ottimo compositore, ma dovrebbe smetterla di scrivere intro sempre simili a “The Legacy”; a parte questo “The Time Machine” è un bel pezzo.

Ascolta Senjutsu su Spotify

Sembra paradossale, ma i pezzi più deboli dell’album sono forse alcuni di quelli che portano la firma del solo Steve Harris. Prendiamo il caso di “Lost in A Lost World”: ottimo brano, con almeno un minuto superfluo di strumentale; “Death Of The Celts” è un chiaro collegamento a “The Clansman”, non è una brutta canzone, ma molti storceranno il naso ravvisando delle parti molto, molto, troppo simili al classico dell’era Blaze (il sogno sarebbe di ascoltarla live in mash-up tra le due – immagina Andrea, puoi).

Non sono pezzi invalidanti, ma si nota un certo distacco di stile tra gli altri e Harris stesso. Nulla da dire invece per “The Parchment”, anche se anche lei soffre di qualche leziosità di troppo (nulla di tragico).

La vittoria è vicina

Ho esposto subito i difetti di “Senjutsu” non per sadismo, ma perché sono sbavature non così gravi nel complesso. È un album solido, con un mixaggio che continuerà a non piacere a chi si è fermato a “Fear Of The Dark” (quello sì che era un mix davvero brutto), con soluzioni che gli Iron Maiden imperterriti continuano a portare e imporre nell’ultima ventina d’anni. Come dire: “Le galoppate ci sono ancora, ma vogliamo fare anche altro”, prendere o lasciare. Il sottoscritto prende, con piacere.

Dovreste farlo anche voi, perché “Senjutsu” ha il pregio di avere difetti solo vagamente sparsi, laddove persino un ottimo lavoro come “The Book Of Souls” aveva un paio di episodi dimenticabili (“Man of Sorrows” su tutti).

Avete lasciato nel cassetto quest’album per un anno e mezzo. L’attesa ha ripagato l’orecchio e il piacere del sottoscritto. Grazie, Iron Maiden.

a cura di
Andrea Mariano

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