È uscito lo scorso venerdì “YUNGBLUD”, il terzo album in studio di YUNGBLUD. Dopo il grande successo di “weird!”, conferma o occasione sprecata?

YUNGBLUD ha rilasciato lo scorso venerdì l’album omonimo “YUNGBLUD“, il terzo lavoro in studio per l’artista britannico protagonista di un successo riscosso grazie soprattutto all’ultimo album “weird!” con cui ha contribuito al grande ritorno del punk nella musica mainstream.

L’entusiasmo attorno a YUNGBLUD lo si è potuto anche vivere sulla propria pelle in caso siate stati testimoni alla data del Carroponte a Milano il 18 maggio, dove eravamo presenti anche noi; trovate il report sul sito in caso vi siate persi il concerto.

Ascolta “YUNGBLUD” su Spotify.
Delusione, amarezza… perché YUNGBLUD?

La sensazione che scaturisce dopo l’ascolto di questo album è come YUNGBLUD si sia decisamente snaturato rispetto ai suoi precedenti lavori. Se nelle sue canzoni passate vi era un equilibrio tra sonorità pop e punk in un mix armonico tra i due generi, in questo nuovo album la prima dimensione sembra aver prevalso nettamente sulla seconda.

Le tracce antecedenti avevano una crudezza non solo nei testi ma anche nella parte strumentale, oltre alla voce particolarmente adatta a questo stile, rendendole peculiari e riconoscibili nel panorama musicale. “I Cry 2“, eseguita in anteprima al live citato sopra, sembrava potesse essere una delle tracce saltabili dell’album quando invece era da prendere come segno premonitore di cosa sarebbe stato.

YUNGBLUD al Carroponte a Milano (credits to: Mirko Fava).

Non fraintendete, “YUNGBLUD” rimane sicuramente ascoltabile ma elimina parte dell’identità per cui l’artista inglese ha iniziato a essere riconosciuto e apprezzato dal pubblico. È giusto sperimentare ed evolvere album dopo album, ma si sperava che potesse rimanere un forte esponente del mondo punk, consolidandosi nel tempo in questi termini.

Il livello dell’album è senza dubbio peggiore rispetto a “weird!” dove ogni pezzo sapeva come essere ognuno un piccolo mondo a sé stante che uniti hanno poi dato vita a un album di assoluto prestigio.

Se proprio dovessimo elogiare un aspetto dell’album sarebbe la parte dei pezzi lenti e introspettivi. Se siete affezionati al vecchio YUNGBLUD questi sapranno come non deludervi e imparerete ad apprezzarli ulteriormente. La sua voce assieme alle parole e al ritmo lento continuano a essere un mix che ti scava dentro scovando i sentimenti più intimi. “Die For A Night” e “Sweet Heroine” sono i pezzi che più si addicono a queste parole.

Ultimo video ufficiale uscito: “Tissues“.

Se invece di tutto quello che è stato detto non ve ne frega una cippa e siete assetati di pop talmente tanto da “magnarvelo” anche sulle fette biscottate alla mattina, “Don’t Feel Like Feeling Sad Today“, “Don’t Go” e “Sex Not Violence” fanno al caso vostro.

In conclusione...

Un altro aspetto da rivedere è sicuramente la questione featuring, tralasciata anche nel passato. Non è forse però il momento di cambiare l’andazzo? Questa però è una questione divisiva perché molti artisti prediligono album senza featuring mentre altri invece ci basano intere opere.

Quanti però sono curiosi di sentire anche sue tracce con ospiti avendo la possibilità di cercare featuring con artisti di un certo calibro?

Dobbiamo essere chiari, la dimensione pop di YUNGBLUD non è da stigmatizzare in assoluto perché i brani sono comunque ascoltabili e apprezzabili. È la quantità esagerata di questo genere che stona nell’album. Se avesse magari optato per qualche pezzo anche puramente pop ma mantenute le radici al passato, sarebbe stata un’altra storia.

Come in politica si dice che si muoia tutti democristiani, in musica si può dire che gli artisti muoiano tutti facendo del pop. YUNGBLUD si è adagiato sperando possa essere solo una breve pausa prima di salpare in un nuovo viaggio punk in futuro.

a cura di
Luca Montanari

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