Parliamo un po’ di loro, parliamo un po’ di voi. Parliamo soprattutto di questo nuovo album, dato che in molti si sono dimenticati del focus reale della questione: “Rush!” è un buon album oppure no?

Io vi vedo, al di là dello schermo, a sbavare goduriosi. “Ah, un’altra stroncatura”, “Ah, un’altra opinione assolutamente non necessaria”. Perché oramai va così: le recensioni sono “opinioni”. Invece, anche nel più infimo degli articoli, se ha un minimo di ponderazione – come dovrebbe essere, se non altro per onestà -, c’è un’analisi sull’opera. Quindi, cari miei, ora che mi sono inimicato l’80% di voi, mi rivolgo al restante 20% (sono ottimista, lo so).

“Rush!”, terzo album di quei Måneskin che da fenomeno musicale stanno cercando di diventare una realtà stabile nel panorama odierno, nel bene e nel male. È anche il successore di “Teatro d’Ira – Vol.1”, e il sottoscritto vorrebbe sapere se mai ci sarà un “Volume 2”, ma traumi cronologici a parte diciamo subito che questi 17 pezzi che abbiamo tra le mani mostrano una controtendenza rispetto al passato: sono solo 3, infatti, i brani in lingua italiana. Non è un male, non è un bene, è solo un dato di fatto quasi ovvio, visto il tentativo di sfondamento che il quartetto romano sta attuando negli Stati Uniti.

“Rush!”, terzo album dei Måneskin - Distorsioni Sonore

Lo si evinceva già non tanto dai singoli “Mammamia” o “Supermodel” (incubo per ogni utente TIM causa spot e musichetta d’attesa), ma dagli ultimi “The Loneliest” e “Gossip”. Il primo perché è la tipica ballata da pop-“rock” americano, confezionata discretamente per un target generalista e radiofonico (inteso come “mi piace la musica, la metto come sottofondo”); la seconda per la presenza di Tom Morello dei Rage Against The Machine quasi a voler giustificare e rimarcare che i Måneskin hanno l’approvazione di alcuni pilastri del mondo rock (in precedenza fu Iggy Pop in una versione alternativa di “I wanna Be your Slave”).

Ed è già da qui che si palesano due dei quattro punti chiave per leggere bene “Rush!”.

Punto uno: standardizzazione

“Timezone” può essere una piccola evoluzione del sistema ballad dei Måneskin, ma è solo una edulcorazione di ciò che invece è più pesante in “The Loneliest”, “Own My Mind”, “Baby Said” e “Read your diary”. Canzoni dal punto di vista della struttura non concepite male, ma che potrebbero essere eseguite da altri interpreti senza stravolgere poi molto l’appeal finale.

La già citata “The Loneliest” potrebbe essere cantata da Miley Cyrus, Demmy Lovato o Katy Perry e il risultato non cambierebbe molto (abbiamo citato interpreti pop mainstream di alto calibro, non c’è ironia in queste parole). Rimarrebbe un buon pezzo scontato con una melodia orecchiabile ma, per l’appunto, facilmente adattabile. Il discorso si estende agli altri brani citati.

Punto due: appiattimento

“Appiattimento” non è un sinonimo del punto precedente, ma una conseguenza. “Feel” ne è un esempio. Pezzo un po’ ruffiano, con un riff già sentito ma che entra in testa, testo che no, non è un inno alla cocaina (basta, vi prego), dato che il testo dice “Cocaine is on the table. Don’t care, we’re rebels” (“La cocaina è sul tavolo. Chi se ne frega, siamo ribelli“). Tuttavia, non aggiunge né toglie nulla al disco.

Paradossale il caso di “Gasoline”: un brano non malvagio (scritto pensando alla guerra in Ucraina i maligni diranno “per cavalcare la guerra in Ucraina”), stilisticamente distante dal mood generale dell’album (ma meno fuori posto di “Kool Kids”), spunto interessante al quale manca però quel quid che lo faccia risaltare. In tutto “Rush!” è il pezzo con maggior potenziale ma poco sfruttato, il connubio tra passato e “standard” che poteva funzionare.

“Gossip” è quanto di più piatto possibile. Non fatevi ingannare solo dal ritmo. Persino la presenza di Tom Morello e del suo Whammy non aggiunge assolutamente nulla a un brano di cui si è parlato principalmente per il nuovo taglio di Damiano (e per l’insurrezione popolare di chi si definisce “trve rocker”).

Punto tre: filler

I riempitivi non sono molti, ma hanno un piccolo problema: sono per lo più “canzoni fuori posto” o semplicemente mal congegnate. È il caso di “Bla Bla Bla”, una progressione che dovrebbe portare a una esplosione finale, ma tutto è troppo monocorde e manca il traguardo del climax emozionale. “Kool Kids”, d’altro canto, è un tentativo post punk mal gestito e di certo non uno dei punti forti dell’attuale discografia dei Måneskin, completamente decontestualizzato, così come lo sono “Supermodel” e “Mamamia”, ma per un altro motivo: sono singoli buttati nel mucchio che non hanno un raccordo forte con il resto della tracklist di “Rush!”. Sarà un caso siano state piazzate alla fine dell’album?

Punto quattro: ripartire da poco

“Don’t Wanna Sleep” è la summa di quel che sarebbe dovuto essere “Rush!”: prendere parte dello stile che i Måneskin hanno tentato di plasmare fino ad ora e innestarlo con qualche trovata più “American-oriented”. Un equilibrio tra standard radiofonico e un minimo di personalità riconoscibile.

Da annoverare tra le più riuscite in assoluto “Mark Chapman”, canzone incalzante con testo in italiano che ricalca la figura dell’assassino di John Lennon. L’unico problema è il cantato di Damiano che continua a mangiarsi la parte finale delle parole, ma a parte questo è un brano ben congegnato, con una linea vocale veloce, scattosa, cadenzata e che funziona (al netto di quanto detto). Questo è, in teoria, lo stile che i Måneskin avevano fatto subodorare voler intraprendere in “Teatro d’Ira” e che invece qui, in “Rush!”, manca terribilmente, asservito dall’ancor più spendibile “prodotto americaneggiante”. Anche “La fine” è sulla falsa riga di questo discorso.

Qui parliamo di musica

Non parliamo di quanto siano solo apparenza, evitiamo le discussioni sulla scia “E questi dovrebbero essere i salvatori del rock?”, anche perché sono tutti elementi scaturiti da letture esterne, nemmeno da dichiarazioni dei diretti interessati o che. Per di più questa guerra comunicativa non è stata creata nemmeno da loro, ma da chi si è sentito offeso e ferito. Da cosa, per quale motivo non si sa.

Una volta alcuni si destreggiavano tra cartoni animati e pupazzi per sfruttare l’immagine della band, ora c’è quel misto tra gossip e non-notizia che echeggia per i social. Tempi diversi, sostanza (comunicativamente parlando) simile. Amen.

Parliamo di musica, concentriamoci sul disco: “Rush!” dei Måneskin è un mezzo passo in avanti per la conquista radiofonica, un passo e mezzo indietro paradossale rispetto al potenziale. Non è una questione di essere costruiti o meno, bensì di scelte. Appiattire il minimo guizzo personale, rallentare o addirittura eliminare le linee vocali serrate tipiche di Damiano (non perfetto, ma riconoscibile) è un controsenso che li renderà perfetti per la settimana in cui esce il loro singolo di turno e basta.

Se l’album avesse avuto cinque, sette pezzi in meno e più canzoni sulla scia di “Mark Chapman” (non fa differenza se in italiano o in inglese), saremmo di fronte a un buon prodotto. Commerciale quanto volete, ma con un certo grado di valore. Attualmente, invece, è un’occasione sprecata che tuttavia evoca un paradosso: non gireranno troppo per le radio, ma continueranno a far parlare di sé.

a cura di
Andrea Mariano

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – “Living Human Treasure”: punk roars again with Italia 90!
LEGGI ANCHE – WASABI: IN USCITA L’EP “VERDE”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *