Tra le nostalgiche atmosfere del nu-metal e l’incalzante ritmo hip hop, sono tornati i Papa Roach con l’undicesimo album in studio

Jacoby Shaddix e compagni ritornano e lo fanno in gran stile, a tre anni di distanza dall’ultimo album “Who do you trust”. Sono ormai lontani i tempi della wave nu-metal, ma i Papa Roach fanno finta di niente e si dimostrano una band infinitamente più stimolante, diversificata e pronta a farci saltare.

Papa Roach Shaddix
Jacob Shaddix all’opera
La fase creativa

Come tutte le band, anche i Papa Roach si sono trovati bloccati dalla pandemia globale, ma approfittando della situazione, non hanno perso l’occasione per creare qualcosa di nuovo. Dopo essersi rinchiusi in una villa a Temecula in California nell’estate del 2020, il gruppo ha trovato una forte sintonia che li ha portati a unire le proprie forze e scrivere con una ritrovata enfasi, come afferma il leader Jacoby Shaddix :

“Non è il momento per il conformismo, ma di essere ispirati a costruire qualcosa di nuovo, qualcosa di migliore”

Papa Roach Swerve
La band al completo con le grafiche del nuovo album
Un viaggio attraverso le tracce

L’album si apre con Kill the noise e Stand up, pezzi carichi, successi istantanei che spingono per attirare l’attenzione e invadere d’irruenza le correnti radiofoniche. In Swerve troviamo una collaborazione tra il frontman Jacoby Sheddix e Jason Aalon Butler dei FEVER 333, in un rock all’avanguardia che incontra il grind hip hop, attraverso inedite esplosioni di sax. Troviamo una produzione insolitamente coinvolgente, come in Bloodline, i suoi passaggi sonori altisonanti fanno veramente tremare la stanza.

La title track Ego trip e Unglue, tra giri di basso e ritmo incalzante della batteria, ti portano nell’ombra e colpiscono quando meno te l’aspetti. Dying to believe è il tipico pezzo dei Papa Roach, col ritornello di Jacoby che spicca tra la contaminazione di hip hop, glitch elettronici e i riff stridenti di Jerry Horton. Leave a light on è il pezzo che non ti aspetti, un cocktail di melodie malinconiche raccontate dalla voce pulita del cantante.

Tirando le somme

In conclusione, non possiamo certo dire di essere tornati ai fasti di Infest (2000), ma troviamo un album di buon livello, a tratti un po’ ripetitivo ma piacevole all’ascolto. Componente fondamentale la voce del cantante Jacoby Shaddix che altalenandosi tra stile graffiato, “rappato” e melodico, ci accompagna in questo “Ego Trip” che farà tornare in pista un po’ di carica e pogo vecchio stile come ci hanno abituato.

A cura di
Mattia Mancini

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