“Patient Number 9”: Ozzy Osbourne è ancora in forma

ozzy osbourne nel 2022

Musicalmente parlando una spanna sopra il già pregevole “Ordinary Man”, il nuovo album del caro vecchio Ozzy Osbourne è una sassata di ispirazione e gran lezione di stile, tra graditi ritorni e una pletora di collaborazioni

Con un tour rimandato non si sa quante volte, una pandemia e delle condizioni di salute costellate da innumerevoli acciacchi, non è facile capacitarsi di come il buon vecchio Ozzy Osbourne riesca ad avere così tanta voglia di tirare dritto per la sua strada. “Patient Number 9” arriva a poco più di due anni di distanza dal buon “Ordinary Man”, un came-back già all’epoca ben accolto. Questa volta però Ozzy alza l’asticella.

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Vediamo: la leggenda Jeff Beck, Mike McCready dei Pearl Jam, il vecchio compagno d’avventura Tony Iommi, Eric Clapton, il fidatissimo e fedelissimo Zakk Wylde, il producer (nonché ottimo chitarrista) Andrew Watt e un insospettabile Josh Homme dei Queen of the Stone Age si scambiano la sei corde nel corso dei tredici brani che compongono “Patient Number 9”.

Al basso troviamo invece Duff McKagan dei Guns N’ Roses, Chris Chaney dei Jane’s Addiction e la vecchia conoscenza Robert Trujillo. Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e il compianto Taylor Hawkins dei Foo Fighters segnano il ritmo dietro i piatti della batteria e, ciliegina sulla torta, James Poyser dei The Roots tesse trame d’organo in “One Of Those Days” e “Nothing Feels Right”.

Un dream team impressionante, che ha permesso a zio Ozzy non tanto di creare chissà cosa di innovativo, ma di certo donare alla consolidata formula “classic heavy” tante diverse sfumature atte a impreziosire un songwriting già di per sé molto ispirato.

Per intenderci: se avete anche solo vagamente apprezzato “Ordinary Man”, non sarà difficile entrare nel mood giusto per godere ancora di più con questo nuovo album.

A fronte della medesima produzione “bombastica” (termine degli anni 2000 per indicare il sound “con la botta”, per dirla in maniera grezza e feroce), “Patient Number 9” ha dalla sua suoni un po’ più sporchi, più in linea con quella che è la storia di Ozzy. Parliamoci chiaro: non puoi avere un sound cristallino se alla chitarra richiami Zakk Wylde e Tony Iommi sarebbe controproducente oltre che impossibile.

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Nel 2020 “Ordinary Man” era appena uscito e Osbourne si affrettò a dichiarare che stava già mettendo mano su materiale per l’album successivo. Qualcuno pensava a qualche scarto, qualche outtake, invece era davvero così: una masnada di idee che continuavano a venir fuori e che necessitavano altro tempo per maturare in maniera adeguata era lì, impaziente per avere il giusto spazio nel momento più opportuno (non tutto insieme così, tanto per. Vero Red Hot Chili Peppers? Vero Muse?).

Il buon Ozzy ha lasciato anche che i musicisti chiamati in causa sfogassero le loro idee, rendendo l’ospitata una vera e propria collaborazione fattiva e interagente. Non solo session-man di grande calibro, ma ispirazione reciproca.

Un nuovo periodo d’oro, dunque, che il Principe delle Tenebre ha sfruttato e continua a sfruttare ottimamente, aggiungendo un segno alla sua discografia magari non epocale, ma di certo importante per rimarcare come, in studio, nonostante le decadi e i cambiamenti nel mondo della musica, Ozzy ha ancora qualche asso nella manica.

Non è scontato per un artista che sfonda il mezzo secolo di carriera. Consiglio spassionato: ascoltatelo in cuffia a volume alto oppure su un impianto stereo a volume molto-molto-molto-alto.

a cura di
Andrea Mariano

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