Silvia Wakte:una donna e la sua chitarra

silvia wakte

Una carriera in ascesa per la romagnola Silvia Wakte che si è spostata dall’America fino ai palchi più prestigiosi. Coraggio e determinazione, oltre alla voglia di mettersi in gioco, sono i suoi punti fermi.

Durante la sua carriera Silvia Wakte non ha chiesto niente a nessuno. E’ uscita ragazzina dalla sua cameretta coi poster dei rocker leggendari e ha cominciato a suonare nei locali, per pochi soldi. Poi la lunga gavetta nella showband “Six in the city” coordinata da Stefano Re che le ha permesso di esibirsi in convegni, spettacoli ed eventi sportivi in tutta Europa con un repertorio di 300 brani di ogni genere.

Ma alla Silvia Wakte questo solida occupazione non basta. Si trasferisce in Florida, USA, intraprendendo un cammino di arrangiamento e riproposta dei classici folk e rock (pescando nel repertorio di Joni Mitchell, Joan Baez, Bob Dylan, Janis Joplin etc) e un tour che la porterà da Orlando a Tampa , St.Petersburg, Sarasota e Miami, insieme a musicisti americani e sudamericani tra cui l’amico Sylvester Bryant (Teddy Pentergrass Orchestra). E ancora, collabora con Christie Lenèe per un minitour che tocca tra l’altro l’OpenGrass Music Festival 2008, Miami.

Ricco bagaglio di esperienze

Con un bagaglio ricco di musica e influenze, Silvia Wakte rientra in Italia. Si propone da session player come chitarrista cantante e insegna dal 2012 al 2013 presso il Music Academy di Faenza (RA) chitarra e
musica d’insieme. Nel 2013 entra a far parte dello show “Crozza nel paese delle meraviglie” in onda su La7. Nel 2014 entra come frontwoman nella band Grammar School formata da Paul Gordon Manners col quale toccherà molti teatri e piazze d’Italia per 3 anni.Le ultime esperienze la vedono collaboratrice del cantautore Tricarico nel 2018 e negli spettacoli e spot di Paolo Cevoli.

Silvia Wakte è praticamente instancabile. La incontro in un locale di Santarcangelo di Romagna mentre monta l’impianto e i pedalini della sua chitarra poco prima del suo live. Molto goffamente le manifesto gentilmente la volontà di aiutarla ma lei continua ad armeggiare fra cavi e aste guardandomi con sufficienza, quasi sfidandomi. Alla fine si sistema tutto, mi permetto solo di farle notare che manca il riverbero alla voce. Ora invece il suo sguardo diventa d’intesa. Aveva bisogno solo di un consiglio tecnico, non di un uomo che dimostrasse la sua superiorità. Sciolta la riserva mi preparo a farle alcune domande per l’intervista.

Ciao Silvia, cominciamo col chiederti quanto è impegnativo il tuo lavoro di musicista e la ricerca di ingaggi? Cosa comporta?

E’ impegnativo dal punto di vista mentale perchè bisognerebbe solo suonare ma noi artisti ci ritroviamo a dover “vendere” le nostre proposte. C’è da dire che, man mano che ti fai conoscere inizi a entrare ” nel giro” di locali e di musicisti che si danno una mano.

La domanda è d’obbligo. Come hai vissuto il periodo del lockdown? Riposo, possibilità di maggior studio o ansia?

Tutte e tre le cose insieme intervallate da un ora all’altra. Ero in una situazione personale particolare, stavo cercando casa ed ero in appoggio dai miei. E’ arrivata la prima ondata, io ero appena tornata da una serie di concerti a Montecarlo. Quindi mi sono ritrovata bloccata a casa dei miei genitori dopo trent’anni di visite saltuarie. Mi sono trasferita nella loro tavernetta. Ho studiato molto pianoforte, ho ripreso la chitarra classica studiando un pò di flamenco. Ho scoperto cosa vuol dire fermarsi e ho riscoperto il valore della musica non vissuta come lavoro. La prima ondata quindi illuminante, la seconda l’ho vissuta più sulla terza opzione, cioè una grande ansia.

Nel 2014 con la Grammar School, insieme al leader Paul Gordon Manners, hai intrapreso un tour in tutta Italia con uno spettaccolo che era una sorta di “School of Rock”. Secondo te in che stato è il rock oggi, a livello internazionale?

Credo che il rock abbia conservato il suo messaggio iniziale e universale. Il rock non è solo una chitarra distorta è molto di più: è un modo di essere e di trasmettere un messaggio. Se vogliamo anche un’attitudine. Poi entrando nel discorso più musicale i Maneskin sono una delle band più famose del pianeta e non è un caso che siano diventati famosi grazie a una musica che non è pop. Malgrado questo è vero, il rock non sposta più milioni di persone ai concerti come invece fa l’hip hop o la trap. Questo è dovuto ad una maggiore urbanizzazione negli ultimi anni, i suoni si sono fatti più scarni però il rock ha conservato una potenza che va dritto alla pancia e negli ultimi anni è tornato a far presa nei giovanissimi.

Nel 2007 ti sei trasferita per suonare in Florida. Quanto è valsa quella esperienza?

Ho capito cosa vuol dire “suonare” e non solo eseguire. Ho sentito cose meravigliose, il rock lì è un pò come la pastasciutta da noi. Ho capito che la musica è qualcosa di molto più universale di quello che pensavo. Un’esperienza molto formante per me, ho trovato amici musicisti che mi hanno dato davvero una mano e spero di tornare presto.

Quali sono i tuoi chitarristi di riferimento?

I miei riferimenti partono da Jimmy Page (la Silvia suona nelle Ladies Zeppelin, band tributo ai Led Zeppelin) e dagli anni 70 in generale (Hendrix). Poi ho sempre ascoltato un pò di tutto, anche fingerstyle e di conseguenza Tommy Emmanuel. Il flamenco che amo molto anche se non lo suono ma che è molto istruttivo riguardo l’uso della mano destra. Di riferimenti moderni non ne ho. (Anche se poi abbiamo un pò discusso su John Mayer che lei reputa bravo, con una bella mano ed io un pò meno).

Cosa senti di dire a una ragazza che vorrebbe intraprendere una carriera come la tua?

Di fregarsene di tutto e di tutti. Quando io ho cominciato la ragazza chitarrista era un soggetto anomalo. In Italia lo è ancora ma all’estero ci sono milioni di ragazze che suonano benissimo: Io posso dire di avere molte allieve chitarriste (Silvia è docente di Chitarra e Musica D’Insieme presso Artistation-School of Arts a Faenza-RA) con un’età che va dai 12 ai 14 anni. Essere per loro un esempio trovo sia una cosa molto bella.

Una chitarrista rock in Italia è abbastanza rara. Quali difficoltà incontri?

Per me è stata dura, l’ambiente musicale è estremamente maschilista e sessista e qui potrei aprire un capitolo enorme. Ho imparato a non stare zitta vedendo certi atteggiamenti, sicuramente più donne suonano più questa cosa cambierà. Poi le donne in realtà dovrebbero fare quadrato ma putroppo non avviene quasi mai, in ogni ambito.

Prossimi impegni?

Con la ripresa della pandemia in tutta Europa sono tornata a proporre concerti in zona, in particolare un progetto a cui tengo molto dedicato alle donne del folk e del rock. Collaboro con una sacco di band nella zona Milano – Bologna. Per il resto qualche data a Montecarlo, ho preso parte alla produzione dell’ulitmo disco di Tricarico. Mi piacerebbe riprendere a viaggiare e, allo stesso tempo, prendere parte a lavori cantautoriali.

a cura di
Beppe Ardito

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