The Elephants of Mars di Joe Satriani – il nuovo album

Joe Satriani, l’americano chitarrista, compositore, cantautore fusion, hard rock e rock strumentale di origini italiane, ha pubblicato l’8 aprile “The Elephants of Mars”, il suo diciannovesimo album in studio.

La copertina rappresenta, su sfondo viola, delle chitarre arancioni rovesciate le cui forme ricordano il muso di alcuni elefanti. 

Joe Satriani

Virtuoso del suo strumento, padroneggia ottime tecniche chitarristiche; il suo passato musicale è ricco e variegato: vede alternarsi progetti solisti e di gruppo; nel ‘94 andò in tour con i Deep Purple; nel ‘96 fondò il G3, un progetto il cui intento era unire di volta in volta, nel corso di una serie di tour, i più grandi chitarristi del mondo in gruppi da tre. Hanno partecipato artisti come John Petrucci (dei Dream Theater), Brian May (dei Queen), Paul Gilbert (dei Racer X e successivamente dei Mr. Big) e Robert Fripp; nel 2008 fondò il supergruppo hard rock/rock blues Chickenfoot, insieme al cantante Sammy Hagar, al bassista Michael Anthony (entrambi ex membri del gruppo Van Halen), e al batterista Chad Smith (dei Red Hot Chili Peppers). 

L’album: The Elephants of Mars

The Elephants of Mars è un album di 14 pezzi interamente strumentali, dove ovviamente la chitarra è protagonista, arricchita con molti elementi elettronici; qui lo stile della title track funge da modello. Le sensazioni che ci lascia questo disco sono quelle della potenza, della fierezza e della forza – come si può ben percepire in Dance of the Spores. Ma ci sono anche scarti a tratti misteriosi e più riflessivi, e a tratti grooveggianti, il tutto a volte anche all’interno della stessa traccia. È ciò che accade, ad esempio, in Night Scene, molto variegata, in cui ci sorprende anche un inaspettato solo di tastiera Rhodes, e in Pumpin’, dove un groove più funkeggiante e jazzy si fonde bene con il rock e l’elettronica. Il tutto ci porta ad un risultato estremamente espressivo e suggestivo – quasi fantascientifico, come vuole suggerirci il nome dell’album.

Con The Elephants of Mars, Joe Satriani ci dimostra non solo il suo talento tecnico ed espressivo, ma anche il fatto che il linguaggio musicale ha una forte potenza comunicativa, il cui significato è intrinseco ed evocativo su un piano più astratto – ma non per questo meno rilevante – rispetto a quello verbale. Tutto conforme alle intenzioni dell’artista: lo stesso Satriani, infatti, dichiarò di voler dimostrare alle persone che un album di chitarra strumentale può contenere molti più elementi creativi e divertenti rispetto a quanto non si creda.

I brani

Questo lavoro ci presenta un vero e proprio discorso musicale: sembra raccontarci una storia. I titoli sono azzeccati ai brani, che suggeriscono il mood giusto rispetto a ciò che ci si spetterebbe. 

Ad esempio, il pezzo di apertura, Sahara, si apre con suoni energici e potenti. Sembra dipingere un paesaggio sonoro con tratti esotici, costellato dalla presenza di percussioni etniche, fuse con i suoni della chitarra distorta; anche Doors of Perception è un brano che sembra portarci al confine con altre culture e altri mondi, caratterizzato da un ritmo orientaleggiante, coinvolgente e incalzante. A mio parere, uno dei brani più degni di attenzione del disco. 

Un altro pezzo di rilievo è sicuramente Tension and Release. Qui le opposte sensazioni menzionate nel titolo sono rese anche grazie al tempo dispari in 7/4 su cui è costruito il brano, spezzato da un intermezzo in 4/4 in cui, comunque, il ritmo alternato tra battere e levare continua a rendere un effetto di tensione e rilascio. 

Non mancano avvicinamenti ad altri generi come il funk, in Pumpin’ e in Blue Foot Groovy, in cui nei passaggi veloci del finale si nota particolarmente la tecnica del legato ben padroneggiata da Satriani, e il jazz-rock, in E 104th St NYC 1973, in cui i soli di chitarra sono accompagnati da quelli che sembrano essere i suoni di una tastiera Rhodes; entrambi sono brani che contribuiscono a dare un tono più fresco e leggero all’album. 

Al contrario, invece, Through a Mother’s Day Darkly crea un’atmosfera più inquietante e suggestiva; anche la voce, che sembra essere scorporata e fuori campo, e il breve testo – l’unico dell’intero album – sono sempre più evocativi e angoscianti. “Every night I have the same dream. A world I’ve never seen and a war I’ve never took part in. This is what we feared […] it’s the end of the damn world”. 

E se Faceless sembra da principio essere un po’ più misteriosa e riflessiva per poi aprirsi invece a un discorso più ampio, arieggiato e positivo, Desolation invece, traccia di chiusura, rimane introspettiva per tutta la sua durata, guidandoci alla conclusione, alla fine di quest’esperienza sonora – a tratti consapevole, a tratti mistica. 

The Elephants of Mars, a mio parere, è un album avvincente anche per chi di chitarre non se ne intende un granché. All’età di 65 anni Joe Satriani continua ad essere una colonna portante nel suo genere. Tenta ancora – e giustamente – di spingersi oltre i suoi confini, finché riuscirà a dar voce alla sua creatività musicale. 

A cura di
Gaia Barbiero

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