Una notte con i Fast Animals and Slow Kids – Auditorium Conciliazione (Roma) – 19 aprile 2023

Fiducia e curiosità del pubblico sono state ampiamente ripagate in quattro atti

Un tour di otto date di cui la metà sold out, vuol dire curiosità e fiducia del pubblico. Due cose che non sono state tradite dallo spettacolo dei Fast Animals and Slow Kids.

Effettivamente, non ho memoria di un loro live che sia stato un fallimento. La musica suonata dal vivo è sicuramente il forte dei Fask. Che sia in elettrico, acustico, o con un’orchestra. Ecco, un’altra cosa certa è che questo, di live, è molto diverso da ciò a cui siamo abituati. “Con un’orchestra”, detto così suona strano per chi è veterano dei loro concerti.

Poltroncine rosse, un teatro, hostess che ci aiutano a trovare i nostri posti. Sul palco vestiti eleganti, più strumenti del solito, un sipario enorme e nero che ad ogni atto si chiude.

Un vero e proprio spettacolo fatto di quattro atti pensati per raccontare la storia dei Fast Animals and Slow Kids. Non solo, anche per raccontare un senso emozionale che appartiene a tutti.

Un palco pieno di persone, con la band un’orchestra da camera composta così: Francesco Chimenti al violoncello, Franco Pratesi al violino, Matteo del Soldà alla viola, Daniel Boeke ai legni, Ivan Elefante alle trombe e al flicorno, Francesco Pellegrini al fagotto, Carmelo Patti il maestro che dirige l’orchestra.

Indubbiamente questo il valore aggiunto del concerto: un palco pieno di suoni nuovi che hanno arricchito ogni pezzo suonato Fask. Assoli che incantano, arrangiamenti lenti o articolati che sorprendono. C’erano tutte le carte in regola per azzardare e sperimentare ancora di più e probabilmente accadrà nei concerti estivi, quando l’orchestra si arricchirà ancora di nuovi strumenti.

Aimone Romizi
Atto primo

Cinque canzoni che parlano di paura e amicizia. Cinque canzoni per farsi coraggio. Si apre l’enorme sipario nero e, avvolto dalle luci blu inteso che caratterizzano i concerti dei Fask, il suono del pianoforte ci introduce ad “Animali notturni” che apre la serata ricordandoci subito che i concerti sono un abbraccio.

Aimone sale sul palco e viene accolto da un affettuosissimo applauso. Reduce dalla notte in ospedale, si percepisce chiaramente il suo malessere che ha generato ancora più empatia nel pubblico che l’ha sostenuto e incoraggiato per tutto il concerto, per ringraziarlo del coraggio di essere lì con noi, nonostante tutto!

E, nonostante questo, la sua voce in questa prima canzone, sulle chitarre acustiche di Jacopo ed Alessandro, risuona intensa e meravigliosamente rotta.

Proseguono con “Come un animale”, “Stupida canzone” e “A cosa ci serve”.

Come band magari abbiamo sbagliato tante cose ma non abbiamo sbagliato a restare sempre insieme come amici. Una promessa che ci siamo fatti tanti anni fa, quando abbiamo scritto una canzone che racconta di quando ci sentiamo dispersi in mare e la musica è l’unica rotta da seguire, come fossimo un’unica entità. Questa canzone si chiama “Troia”.

Aimone Romizi

Una canzone che nella sua versione lenta ed acustica è sempre più bella. In alto, una grafica di due mani che cercano di prendersi, stringersi, poi si perdono. Alessio Mingoli e il suo fischio da marinaio. Il sipario si chiude.

Jacopo Gigliotti
Atto secondo

Quattro canzoni che ti portano lontano, quattro canzoni per perdersi. Questo atto parla di esperienze, viaggi. Parla di perdersi nel mondo.

Quello che auguriamo a tutti quelli che stanno venendo a vedere il concerto è: “Una vita sperduta”

Aimone Romizi

Subito dopo, “Tenera età”. Una canzone nata per raccontare una storia tra il ghiaccio e la foresta, e una donna impellicciata alla fermata dell’autobus. Una di quelle immagini che puoi trovare dietro gli angoli, solo viaggiando, e che ti rimane nel cervello fino a scriverci una canzone.

A seguire, “Cosa ci direbbe” e “Lago ad alta quota”. Quest’ultima è la bellissima canzone che, con lo sfondo di verdi foglie mosse dal vento, ci ricorda che non importa quanto durino le cose. Conta quanto è intenso il ricordo che ci lasciano. Sipario.

Alessandro Guercini
Atto terzo

Il buio, introdotto da un assolo di chitarra elettrica di Alessandro Guercini.

In mezzo alle luci calde, alle luci più belle della serata, suonano una delle loro canzoni più dure e dilaniate, “Il vincente”.

Un assolo di tromba introduce una canzone dedicata a tutti quelli a cui non siamo mai riusciti a dire che gli vogliamo bene, “Fratello mio”.

“Coperta”, una delle canzoni più iconiche dei Fask, in questa versione perde un po’ della sua carica ma ruba tutta la bellezza dei suoni di viola e violino. Lo stesso violino che introduce “Annabelle” e ci conduce fino alla standing ovation del teatro.

Siamo all’ultima canzone che conclude il racconto del buio. I Fast Animals and Slow Kids non vogliono farci sprofondare, vogliono dirci che uscire dalla grotta in cui spesso si cade è possibile! Loro ci sono riusciti con la musica, trovando nella bellezza la forza. Suonano una canzone che ci da la carica: “Senza deluderti”.

Alessio Mingoli
Atto quarto

L’ultimo atto dello spettacolo ce lo presenta Aimone: faro da richiamo, lui da solo davanti la tenda del sipario.

Per un sacco di tempo ci siamo vergognati di dire alcune parole. Al posto di dire cuore dicevamo petto, fuoco, costato. Perché ci vergognavamo, pensavamo che fosse una parola banale. Eravamo ragazzini spaventati dalle parole. Poi abbiamo capito che bisogna parlare, bisogna avere il coraggio di parlarsi, di dirsi le cose in maniera molto chiara. Siamo arrivati alla conclusione che adesso il valore alle parole glielo diamo sempre. Ad ognuna di quelle che pronunciamo, tipo la prossima. Infatti questo ultimo atto, miei cari amici e amiche dell’Auditorium Conciliazione di Roma, è l’atto dell’amore!

Aimone Romizi

“Novecento”, “Dritto al cuore”, “Canzoni Tristi”. Un intro di tromba in assolo e “Non potrei mai”.

Ancora standing ovation per i Fast Animals and Slow Kids, per la bella notte che ci hanno donato. Ancora una volta ne è valsa la pena. Ne vale sempre la pena, per loro e per noi.

Il concerto si chiude con “Forse non è la felicità”, ma è proprio quella che abbiamo provato.

a cura di
Lara Melchionda

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