WE, il duplice album degli Arcade Fire

“WE” è il nuovo album del gruppo canadese Arcade Fire uscito il 6 maggio per Columbia Records. A 5 anni dalla pubblicazione di Everything now, sono giunti ora al loro sesto disco

Facciamo un piccolo salto indietro: gli Arcade Fire nascono tra Boston e Montreal dove il duo iniziale, formato da Win Butler e Josh Deu, si fa strada e cresce, acquisendo nuovi membri e perdendone altri, tra cui lo stesso Josh. Tra tutti, l’abbandono più recente è quello del fedele William Butler, che il 19 marzo 2022 ha annunciato di aver lasciato la band dopo il completamento del nuovo album. 

Ad oggi, gli Arcade Fire sono composti dalla storica coppia Win Butler e Régine Chassagne, da Richard Reed Parry, Sarah Neufeld, Tim Kingsbury e Jeremy Gara

WE 

Musicalmente molto equilibrato e umanamente profondo e completo, in WE la vera potenza del lavoro risiede nei testi, nelle riflessioni e nei modi in cui questi sono stati intrecciati ai brani e alla struttura stessa dell’album. Ergo: un ascolto non è sufficiente affinché la bellezza e la complessità di questo disco penetrino sottopelle. 

Infatti, WE è un album duplice: nuovo e vecchio allo stesso tempo, dal momento che è di ultimissima uscita ma che a livello musicale potrebbe essere definito un sunto dei loro lavori precedenti. Sono chiari i rimandi allo stile di David Bowie, anima guida del gruppo, e a tratti anche a quello dei Genesis, band britannica col cui cantante, flautistia e percussionista Peter Gabriel possono vantare una collaborazione nella penultima traccia dell’album, Unconditional II (Race and Religion).

Ma la sua duplicità risiede anche nel rappresentare al contempo l’unione utopica dell’umanità in un unico “noi” e la divisione distopica prodotta da totalitarismo e sorveglianza. Infatti, il nome WE è anche un rimando all’omonimo romanzo dello scrittore russo Evgenij Zamjatin, scritto tra il 1919 e il 1921, da cui George Orwell ha tratto spunto per il suo 1984.

In WE, infatti, c’è uno Stato che controlla e regola la vita dei propri cittadini, al fine di “assicurargli la felicità” sollevandoli dal peso della scelta, fino a privarli del libero arbitrio. Una tematica storica e attuale al contempo, tanto per tornare alla duplice natura dell’album. 

Duplicità che si riscontra anche nella struttura e nelle tematiche: 10 brani divisi in due parti da 5 tracce ciascuna, di cui la prima parte è più cupa ed emotivamente pesante, la seconda è più luminosa e positiva, ma non per questo meno profonda. E così, anche i temi stessi sono affrontati sia da un punto di vista collettivo, sia individuale. 

Le tracce I

Le prime due tracce, Age of Anxiety I-II, sembrano seguire l’onda di sperimentazione elettronica iniziata nell’album precedente; non sorprende sapere, infatti, che entrambe sono state scritte in periodo pre-Covid, così come End of the Empire I-III. Gli Arcade Fire avevano sentito arrivare questo periodo di incertezza, di ansia, che la pandemia ha amplificato: “it’s the age of doubt and I doubt we’ll figure it out”. Tra la fine dell’impero americano posta in parallelismo con la fine di una storia d’amore, in tutto e per tutto questa è l’età dell’insicurezza, del dubbio, del cambiamento che ci fa muovere al buio, nel vuoto; un oblio, una situazione da cui non sappiamo bene come districarci. 

Nonostante ciò, il viaggio continua; vaghiamo tra le tracce ed è come vagare nello spazio. È in questo momento che entriamo nel buco nero con la traccia End of the Empire IV (Sagittarius A*). Improvvisamente ci ritroviamo immersi nel vortice sempre più profondo e soffocante, in cui si dice il paradiso sia sparito: “where they say heaven is gone away”. Così gli Arcade ci preparano ad essere buttati fuori, al lato opposto, per vedere cosa c’è di là. Si arriva alla fine del brano; la musica si spegne.

Silenzio.

Il passaggio

Inizia la nuova traccia ma la musica non si sente. Il vuoto dello spazio non permette al suono di viaggiare. Sei secondi di nulla. E poi ecco: veniamo sputati fuori. Siamo dall’altro lato. Un’alba dolce, fatta di luce nuova e di tiepide melodie, un “lightning”, un’immagine suggerita dalla musica che fa venir voglia di partire. Anzi, di ri-partire, con una leggerezza simile a quella dell’aria primaverile al mattino, dopo che il cielo ha ripreso colore: “the sky is breaking open, we keep hoping. In the distance, we’ll see a glow, lightning, light our way, ‘till the black sky turns back to indigo”. C’è una luce, possiamo continuare a sperare, possiamo non arrenderci se l’avvicinamento è reciproco. Il brano è un crescendo che arriva a toccare il picco di energia in The Lightning II, seguendo l’onda del fiume in piena.  

“Waiting on the light, what will the light bring? I heard the thunder and I thought it was the answer. But I found I got the question wrong. I was trying to run away but a voice told me to stay, put the feeling in a song”. 

Le tracce II

E poi, dopo quest’esplosione luminosa, come non dare a questa ripartenza una nuova consapevolezza, più matura e profonda? Di questo tratta Unconditional I (Lookout kid), un brano volto ad addolcire lo scatto energico da cui è preceduto, e che contiene al suo interno preziosi insegnamenti per la vita. Ed è anche una sincera dedica d’amore a un figlio; amore incondizionato che, tra musica e testo, è da brivido – e per i più empatici, da lacrimoni. “I give you my heart and my precious time. It’s unconditional, no matter what you do”.

Un amore incondizionato che non si ferma qui, in questo microcosmo che si crea nel rapporto duale tra genitore e figlio, ma si estende anzi al macrocosmo: al mondo, a tutte le razze e religioni. Uncontidional II (Race and Religion) tratta proprio questo aspetto, riportando un po’ di elettronica e di ritmi forti, intrecciati alle voci di Régine Chassagne, Win Butler e Peter Gabriel. Tu ed io possiamo essere noi, una cosa sola. “No time for division”, non c’è più tempo per essere divisi: ciò che serve è una nuova visione, che comprenda tutti e tutto ciò che ci circonda, senza limite alcuno. Come la luce che quando arriva a colpire i nostri occhi si rompe in mille raggi e direzioni, e ognuno di questi porta il suo colore, diffondendolo senza fine. Così com’è rappresentato nella copertina dell’album.

WE – la conclusione

Ed è in questo modo che ci ritroviamo ad essere WE, title track dell’album, nonché brano conclusivo. Una melodia acustica ci prende per mano e ci accompagna verso la chiusura – una chiusura che si pone come la base di un nuovo inizio; infatti, la traccia si conclude aprendo una nuova riflessione: “when everything ends, can we do it again?”. 

La risposta, se c’è, ancora non la sa nessuno. 

a cura di
Gaia Barbiero

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