Mark Lanegan, il sussurro che volge a compimento

Mark Lanegan

A 57 anni ci lascia all’improvviso Mark Lanegan, figura nella penombra del rock e del cantautorato americano più intimista.

Svanire a 57 anni, all’improvviso, come il fumo della sigaretta perennemente tra le sue dita. Con quello sguardo torvo, che ti penetra nell’anima. La voce sussurrata e roca di Mark Lanegan diventa cenere pesante, continua a rincorrere il nastro della cassetta degli Screaming Trees, il riverbero nella Hall con i Mad Season, il laser del CD dei Queens Of The Stone Age, la puntina del vinile dei suoi lavori solisti.

Di quella devastante decade, di quegli Anni ’90 all’ombra dello Space Needle di Seattle, è scomparso uno dei cantori più complessi, un’entità che sempre ha faticato a rimanere troppo a lungo in stilemi ben delineati.

L’oscurità, la delicatezza, il chiaroscuro

Mark Lanegan ha sempre avuto un ascendente importante su un determinato tipo di ascoltatori, su un determinato tipo di amanti della musica. Etrogeneo pur rimanendo personale, una costante sete di perseguire il suo istinto, fregandosene un po’ di tutti.

È uno di quegli artisti, Mark Lanegan, che ha coltivato tantissimo, seminato ovunque, ma solo pochi hanno raccolto ciò che ha dato. O meglio, “pochi”. Difficilmente il nome di Mark Lanegan smuove l’animo delle masse più grandi, anche laddove ci sia il suo zampino, magari in voluta penombra.

Toni sommessi, anche nel fiore del Grunge, abbinati a una potenza sonora, ma anche laddove l’arrangiamento diventa scheletrico ed essenziale, ai limiti del percettibile.

L’aneddoto

Mark Lanegan è uno di quegli artisti che il sottoscritto ha rincorso ma non ha mai potuto incontrare. Un accredito che non arriva, un treno non preso, la speranza di un biglietto svanito nella scritta “sold out”. E allora vai di YouTube, Spotify, di quel CD dei primi anni 2000 realizzato da un tuo amico dove i titoli delle canzoni non esistono e scopri a distanza di anni che quella dopo “Rape Me” dei Nirvana e prima di “State of Love and Trust” dei Pearl Jam, è “Nearly Lost You” degli Screaming Trees.

Per me Mark Lanegan è sempre stato sfuggente, esattamente come il fumo della sua sigaretta perennemente in mano. Un ulteriore rimpianto da collezionare. Penso sempre, tuttavia, che sarebbe stato ancora più terribile se io non avessi mai incontrato la sua voce. Magra consolazione, forse, eppure è molto.

Vita, rinascita, trasformazione

Non è mai stato rose e fiori il suo percorso nel mondo. Droghe, alcol, il difficile cammino verso la ripresa. E musica, sempre. Un appiglio imprescindibile, per sua fortuna e anche per la nostra. Nel 2021 Mark contrae il Covid in una forma non proprio leggera. Anzi, “terribile”, come lui stesso l’ha definita, tra giorni in coma, risvegli affannosi e una sordità temporanea.

A quanto pare, non si è mai ripreso completamente. Persino il suo editore, in occasione del lancio del libro “Devil in a coma”, aveva riferito che la salute di Lanegan stava attraversando continui alti e bassi. “Non una novità”, ho pensato. Invece è terribile e sconcertante l’epilogo di queste montagne russe.

A 57 anni lo spirito di Mark Lanegan prende una strada diversa e lascia il suo involucro mortale a Killarney, in Irlanda.

E io sono un po’ più vuoto.

a cura di
Andrea Mariano

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