Idles: la recensione di “Tangk”

Quinto album per gli Idles. La formazione di Bristol sorprende con un album che condensa il loro “brutalism” con nuovi spazi espressivi tutti da scoprire

Ad essere precisi già l’album “Crawler”(2021) presentava gli Idles sotto un’altra veste. Forniva gli utensili per costruire un suono nuovo che in “Tangk” prende forma e sviluppo. Non solo, Joe Talbot sembra aver costruito un nuovo modo di vedere il mondo. Un anelito verso l’amore lasciando dietro di se un passato di macerie e dolore.

Ma, attenzione, non si sono “ammorbiditi”. Il tratto distintivo è rimasto lo stesso solo che è stato sapientemente misurato e offerto come una pietanza a base di wasabi: ti sembra innocuo ma ti arriva a bruciare le narici. Anzi, per dimostrare il loro impegno sociale, il 16 febbraio, durante la presentazione dell’album “Tangk” al Brixton Electric, il leader Joe Talbot ha dichiarato la propria solidarietà al popolo palestinese. Chissà se per le date italiane sarà già pronto il Daspo.

A proposito dell’album “Tangk” sempre Joe Talbot ha spiegato come “queste canzoni sono la mia versione dell’amore che, in passato, è stato molto oscuro e spezzato. Ho imparato a esplorare queste emozioni, ed è per questo che sono in grado di essere vulnerabile in questo disco“.

In lui, come in pochi altri, il percorso degli Idles è stata una terapia che lo ha portato ad esprimere il dolore per la perdita di sua mamma dopo averla assistita per sei anni a causa di un ictus (l’album “Brutalism”) mentre “Joy as an Act of Resistance” era l’espressione di un’atra perdita: quella della figlia neonata. Da “Crawler” in poi Talbot ha saputo dosare l’impulsività e la rabbia per farne un atto di consapevolezza e maturità che vengono fuori in una ricerca melodica nuova.

Nuova produzione

Per rafforzare l’idea del rinnovamento sonoro, “Tangk” vede la produzione di Nigel Godrich, mago della sperimentazione di dischi importanti per Radiohead e Beck. Kenny Beats, guru del’hip hop a esaltare gli “assalti vocali” di Joe Talbot. A fare da controllore che il sound non prende strade diverse, alla produzione contribuisce il chitarrista della band Mark Bowen.

idles
I brani

È un canto di desolazione quello che apre “IDEA 01”, un piano che sembra disprdersi nella nebbia. Tutto appare sfocato e sembra perdersi con la grancassa che chiude il brano. “Gift Horse” ci riporta nelle coordinate Idles. Un brano da “mosh pits” col caratteristico ritornello ripetuto e urlato. Un brano che è una dichiarazione d’amore a sua figlia Frida.

“La mia piccola, lei, è così cruda che le do amore, e lei mi dà di più”

e ancora

“Il mio tesoro, lei, è così fantastica
Mi sveglio grato ogni giorno
Il mio il bambino è bellissimo
Tutto è amore e l’amore è tutto
Fanculo il re!
Lui non è il re, lei è il re!”

E ancora in “Roy” c’è la consapevolezza di un uomo nuovo.

Mi dispiace per le cose che ho detto, ho ballato fino a farmi sanguinare i piedi,non morirò mai“.

Un inizio tribale ed un canto oscuro fino all’esplosione del trascinante ritornello. “A Gospel” è un vero gioiello. Un sottofondo di piano che sembra un carrillion ed un canto di dolcezza e malinconia. Un’atmosfera da sogno che accompagna tutto il brano.

Dance..oh, dance

Violini aprono il brano “Dancer”. Gli Idles vanno in discoteca ma secondo il loro linguaggio. E per rendere la festa più coinvolgente hanno chiamato James Murphy e Nancy Whang degli Lcd Soundsystem a fare i cori. Nel testo,Talbot descrive un’esperienza di danza intima e sensuale, usando metafore e immagini vivide per trasmettere l’energia e l’intimità del momento. La canzone sottolinea l’importanza del movimento e dell’espressione corporea come forma di comunicazione e connessione.

E come non rimanere affascinati dal canto di “Grace” con una batteria ipnotica e un basso martellante. Gli slogan, da sempre marchio di fabbrica di Talbot, come un hooligan garbato allo stadio ritornano anche qui:

No god, no king I said love is the fing“.

Perché gli slogan arrivano dritto al punto senza giri di parole. La grazia di “Grace” si trasforma in muscoli tesi nel garage-rock di “Hall e Oates”.

Ancora ritmi tribali e chitarra con un riverbero sinistro fanno da sfondo a “Jungle”. Il ritornello ha un’apertura melodica come un raggio di sole in una giornata grigia. “Gratitude” parte minacciosa fino ad accenni punk. Il testo descrive ancora una volta la gratitudine verso la consapevolezza di un uomo nuovo. “Monolith” si muove sinuosa, fra accenni di synth e un canto che sa di blues rivisto alla loro maniera. Un sax a chiudere un brano notturno.

Dopo questo lavoro gli Idles si dimostrano un’entità che prende forma. La loro energia si cristallizza in altre forme che arricchiscono il linguaggio dimostrando l’importanza di questa band. Nel loro percorso gli Idles si stanno ritagliando uno spazio importante allargando lo spettro sonoro delle loro sonorità e regalandoci un nuovo impulso musicale. E quindi gridiamo anche noi: All is love and love is all.

a cura di
Beppe Ardito

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