Gli MGMT si illuminano (almeno un po’) con l’ingannevolmente ottimista “Loss of Life”

Il primo passo da compiere con qualsiasi nuovo album degli MGMT è orientarsi. Negli anni successivi al loro album rivoluzionario del 2007 “Oracular Spectacular”, la discografia del duo sembra essere caratterizzata dalla quasi allergica avversione a seguire il successo di inni che hanno segnato generazioni, come “Kids”, “Electric Feel” e “The Youth”. Il quinto album della band, “Loss of Life”, rimane su questo andazzo, vale a dire che suona in modo riconoscibile come gli MGMT, ma allo stesso tempo come nulla che gli MGMT abbiano mai fatto finora. E lo stesso vale per l’album prima di questo e quello prima ancora.

“Oracular Spectacular” non ha perso tempo ad inquadrare la posizione degli MGMT sulla fama: l’apertura di quell album, “Time to Pretend” considerava la celebrità come una pietra miliare che forse non valeva la pena raggiungere. Anche se quella stessa canzone, insieme agli altri successi dell’album, avrebbero comunque contribuito non poco per portarli al successo. Il lavoro successivo del gruppo, è riuscito a convincere gli ascoltatori che non hanno intenzione di svendersi, in particolare con il terzo album omonimo. Un lavoro avvincente anche se a volte imperscrutabile, che tuttavia continua a crescere in reputazione ogni anno che passa.

Gli MGMT durante un live
Dentro l’album

Tematicamente, “Loss of Life” riecheggia il sottovalutato “Little Dark Age” del gruppo, un album che ha trovato il tessuto connettivo tra la dipendenza della società dalla tecnologia moderna e domane esistenziali più grandi ed inquietanti. “Loss of Life” affronta argomenti simili con un calore inaspettato, soprattutto considerando il titolo dell’album. L’umorismo è ancora, lì, ma c’è anche una sincerità nel tono che sembra nuova.

L’album riesce ad essere al tempo stesso invitante e creativamente irrequieto come nient’altro che gli MGMT abbiano mai pubblicato. Le loro canzoni sono immediate e accessibili, sfruttando l’acuto istinto pop del gruppo, ma densamente costruite e farcite di deviazioni inaspettate. “Mother Nature” e “Nothing to Declare” sono un gentile indie folk acustico, semplice nell’essenza ma con sorprendenti particolari, come il ticchettio ansioso degli orologi che emergono durante la canzone.

“Loss of Life” presenta anche alcune collaborazioni, sorprendentemente di basso profilo: Oneohtrix point Never (alias Daniel Lopatin) cosparge di elettronica metà dell’album. Al produttore di lunga data David Fridmann viene attribuita l’ingegneria dell album, Nels Cline dei Wilco interviene in “Mother Nature” e Sean Ono Lennon suona le tastiere in “Bubblegum Dog”, solo per citarne alcuni.

Gli MGMT durante una performance
in conclusione…

“Dancing in Babylon”, vede Christine and the Queens duettare magnificamente con VanWyngarden. La canzone si svolge tra più livelli, passando da una power ballad a un beat più carico. “Phradie’s Song” è una ninna nanna mistica e spettrale, “Bubblegum Dog”, che risale alle sessioni di “Little Dark Age”, vede VanWyngarden mettere in discussione le sue convinzioni di lunga data nell’avvicinarsi alla mezza età. E la title track, che chiude l’album è una scarica di psichedelia espansiva addobbata di elettronica.

Alla fine, con “Loss of Life”, gli MGMT sembrano sentirsi più a suo agio che mai nella propria pelle, liberi dalle tendenze o dalle idee preconcette su come alcuni potrebbero classificare il loro sound. Il fulcro dell’album, il tentacolare “Nothing Changes”, trova Wyngarden schiacciato dalla futilità della vita quotidiana. Eppure, in canzoni come “Babylon” e “People in the Streets” canta con una nuova immediatezza e chiarezza, come se l’autocoscienza se ne fosse andata… O almeno, è quello che sembra.

a cura di
Mattia Mancini

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