“Every Loser”: Iggy Pop e l’inesorabilità del tempo che passa

Uscito lo scorso 6 gennaio, il nuovo disco del leggendario rocker americano è, pur con qualche melliflua divagazione Pop, un ritorno alle roboanti origini sonore dei suoi Stooges. Un back to the basics che ci sbatte in faccia quanto il Rock stia invecchiando, non per forza male

Se dovessimo paragonare Iggy Pop a un monumento probabilmente quello che riuscirebbe a condensare maggiormente la sua essenza sarebbe il muro di Berlino. In primis perché, proprio nella capitale tedesca, l’Iguana più famosa della storia del Rock ha trascorso un periodo importantissimo per la sua carriera. 

Tra il 1976 e il 1978, Iggy visse in un appartamento incastonato nel delizioso quartiere di Schöneberg assieme a nientepopodimeno che David Bowie. Una magica – e tossica – convivenza da cui scaturirono immensi capolavori della musica del ventesimo secolo. Dopo i due anni berlinesi, Iggy pubblicò in rapida successione The Idiot e Lust for Life, entrambi usciti nel 1977. Bowie sfornò invece la celeberrima trilogia berlinese, composta da Low (1977), Heroes (1977) e Lodger (1979).

In secundis perché, proprio come la costruzione che divise il mondo in due per quasi 30 anni, il fu leader degli Stooges è egli stesso un monumento su cui il passaggio del tempo si è fatto sentire. Un vero e proprio oggetto totemico che ci costringe a riflettere ogni volta su quanto la vecchiaia, presto o tardi, arrivi per tutti, anche per le leggende. 

Il corpo provato del Rock ‘N’ Roll

Se sul muro di Berlino l’inesorabile flusso degli anni è stato scandito da graffiti e chewing-gum appiccicati al cemento, per il padrino del Punk americano sono la maggiore ruvidezza della sua voce e le rughe che hanno invaso il suo corpo, ancora oggi così sensuale e repellente, le cartine di tornasole dello scorrere del tempo.

Giunto sulla soglia dei 76 anni, passati in gran parte a sbalordire e provocare il pubblico sui palchi e negli studi televisivi di mezzo mondo, il musicista del Michigan ha deciso, per il suo diciannovesimo album in studio di concedersi un ritorno alle sue origini sonore

In Every Loser, il chairman of the bored, pur con la sua immancabile attitudine sfacciata, srotola undici canzoni nelle quali traspare la sua consapevolezza di essere una specie in via di estinzione: quella delle leggende della musica. Perché, in fin dei conti, il tempo passa per tutti, anche se sei Iggy Pop.

Grande festa alla corte di Iggy

In “Every Loser” The Iguana ha deciso, dopo essere entrato spavaldo e rigorosamente a torno nudo negli studi di registrazione, di chiamare a raccolta dei session men di prima categoria. In primis Andrew Watt, uno dei più eclettici produttori del panorama musicale mondiale, capace di aggiungere il suo magico tocco al sound di artisti come Ozzy Osbourne, Post Malone, Dua Lipa ed Elton John.

Iggy Pop, “Every Loser” (2023) – Atlantic/Gold Tooth

Oltre a lui, la quantità e qualità di musicisti che hanno preso parte alle sessioni di registrazione dell’ultima fatica di Iggy è davvero impressionante. Da Duff Mckagan (Guns ‘N’ Roses) a Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), passando per Stone Gossard (Pearl Jam) e Travis Barker (Blink-182). Un vero e proprio dream team di musicisti al servizio del Godfather of Punk.

Hey bitches… I’m back!

“Got a dick and two balls/That’s more than you all”. Sono queste le parole urlate da Iggy nei primi secondi di Frenzy, la traccia di apertura del suo diciannovesimo disco. Un brano che, con il suo riff di chitarra megalitico e il testo sporco e sfacciato, sembra uscito dalla tracklist di Fun House, il secondo disco degli Stooges, datato 1970

Dopo gli echi Post-Punk made in the 80s di Strung Out Johnny, si passa a uno dei brani più interessanti di tutto “Every Loser”. New Atlantis, con la sua continua alternanza tra spoken-world e cantato baritonale sembra la versione moderna e decadente della semi-omonima Atlantis di Donovan, tratta dal suo settimo album Barabajagal (1968).

Colombian pushers and murderers
American swindlers and Slavic thugs
Because here, a man can be himself
But now, she’s sinking into the sea

Iggy Pop, “New Atlatis”

Iggy sostituisce al mito della magica città immersa nelle acque dell’Atlantico, il raconto di una moderna Sodoma, abitata da “spacciatori colombiani, truffatori americani e teppisti slavi” pronti ad affondare “in un mare di vuotezza imperiale”.

L’unghiata elettrica di Modern Day Ripoff e la trascurabile Morning Show portano alla traccia che apre la seconda parte del disco. Neo Punk è un’amara riflessione sulla trasformazione che questo genere musicale ha subito durante i suoi cinquant’anni di storia.

Sono rimasto stupito per molto tempo dal modo in cui il Punk è iniziato come un unico genere musicale per poi dividersi in moltissimi sottogeneri, penetrando infine anche nel mondo della moda, nell’etica, negli orientamenti sessuali e in un sacco di altre cose. All’improvviso le persone stanno facendo un mucchio soldi, anche molto velocemente, facendo le cose in modo Punk

Iggy Pop su “Neo Punk”

Una dura invettiva contro quel “Punk platinato” che nel corso del tempo ha sostituito l’originale spirito divisivo, basato sul “Do it yourself” e l’aberrazione verso il capitalismo massmediale, di cui questa importantissima sottocultura si faceva originariamente portavoce. 

While I’m alive, uncompromised

Il riff molto stoogesiano di All the Way Down e il dito medio alzato dal rocker del Michigan contro i social media di Comments fanno da apripista agli ultimi, commoventi minuti del disco. The Regency, traccia conclusiva di “Every Loser”, ha infatti al suo interno una delle ultime registrazioni compiute da Taylor Hawkins, l’amatissimo batterista dei Foo Fighters, scomparso a Bogotà, nel marzo dello scorso anno. Un sentito omaggio a una delle perdite più dolorose inferte al mondo della musica nel 2022.

Alla fine dei suoi 36 minuti e 57 secondi, la sensazione che l’ultimo album di Iggy Pop lascia è quella di una profonda nostalgia verso un tempo che non c’è più. Anni in cui il Rock era ben lontano dall’essere dichiarato morto e sepolto. Un’epoca in cui critici musicali commentavano l’uscita di album destinati a tracciare un solco indelebile a quella storia della musica che ci appare oggi così lontana.

Il suo sound così crudoenergico e old-fashioned sbatte in faccia all’ascoltatore l’inesorabilità del tempo che passa, fottendosene di tutto e di tutti. Una domanda sorge spontanea alla fine del diciannovesimo disco dell’IguanaQuando leggende come Iggy Pop non ci saranno più, quale sarà il destino del Rock? Un quesito a cui, volente o nolente, solo il tempo saprà dare una risposta.

a cura di
Luca Barenghi

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