GeneriAmo – Un genere, cinque dischi: quelli che destabilizzano il mainstream
La nostra rubrica sui generi musicali che amiamo oggi ci fa fare un bel viaggio nel rock anni 2000 attraverso i 5 dischi che hanno meglio caratterizzato la scena, le sonorità ma anche il mood, di questi anni
Un viaggio, il nostro, che è una vera e propria crepa, molto lunga, negli ascolti dei dischi degli italiani abituati alle sonorità sanremesi. La rottura che parte dagli ultimissimi mesi del vecchio secolo, mette a disagio il fruitore per poi farlo sentire compreso. Per farlo sentire in buona compagnia.
Scopriamo il perché attraverso i cinque album che hanno cambiato molta della programmazione radiofonica che ha, fortunatamente, i suoi strascichi ancora ai giorni nostri.
Verdena – Verdena (1999)
Per definire quello che sono stati gli anni ’90 ma anche e soprattutto per capire la scena attuale e gli sviluppi successivi delle band e la nascita di nuove di esse, non si può non partire con uno degli ultimi album usciti nel XX secolo.
Il 24 settembre 1999 (me lo ricordo, ah, se lo ricordo) diviene disponibile in tutti i negozi il primo album della band Verdena, dal titolo omonimo. Un album che, appunto, ha spezzato in due la scena musicale italiana dell’epoca, caratterizzata da musica pop e dal cantautorato italiano più classico.
All’epoca la band bergamasca, composta da Alberto e Luca Ferrari e Roberta Sammarelli, era la risposta alla scena mainstream e portavoce di tutto quell’underground ancora difficile da scovare da parte di un pubblico che non aveva a disposizione internet a banda larga, non conosceva i social né tanto mento lo streaming.
Un po’ di grunge con velate tinte psichedeliche contraddistinguono il primo lavoro della band che ha raggiunto un successo incredibile per l’epoca, nonostante le basse pretese di un gruppo consapevole di non rientrare tra i canoni attesi dai fruitori di fine secolo.
Per noi giovani (all’epoca avevo 17 anni) è stato quasi commuovente, emozionante ai massimi livelli, riuscire ad ascoltare nei locali e alla radio qualcosa di diverso dalla musica pop e commerciale. Per noi che seguivamo l’underground sperando che prima o poi uscisse dalle nostre camerette, è stato un momento epocale.
Testi semplici che arrivano dritto al cuore, voce urlata, gridata quasi fosse una liberazione: questo è quello che hanno fatto i Verdena. E così ci hanno acceso. E hanno acceso anche gli artisti che da questo momento in poi si sono affacciati per contribuire alla ridefinizione del mainstream italiano.
Baustelle – La Malavita (2005)
Pur considerati Indie e non rock, i Baustelle rientrano a pieno titolo nella parentesi (ancora fortunatamente non chiusa) di rottura dei canoni della musica che passava alla radio.
L’album “La Malavita” del 2005 è stato il primo della band uscito con una major, la Warner. Dal primo brano strumentale “Cronaca Nera” si entra in un mood anni ’70, in bianco e nero come in un vero film noir, che destabilizza per la velocità con cui la malinconia ti entra dentro.
Destabilizzazione che arriva anche quando, tra un pezzo e l’altro del palinsesto radiofonico, si inserisce “La Guerra è Finita” secondo pezzo dell’album e anche quello maggiormente diffuso dalle radio.
I brani dell’album fanno breccia anche tra gli ascoltatori più affezionati ai testi lirici tipicamente sanremesi (basti pensare che lo stesso anno dell’uscita di “La Malavita” trionfa il pezzo di Francesco Renga “Angelo”) tanto da far arrivare i Baustelle nella programmazione day by day di MTV.
Da Rolling Stone Italia, il disco dei toscani Baustelle è inserito nei 100 LP più belli di tutti i tempi con il suo gusto agro-dolce (ma a tratti anche amaro) e l’apertura ariosa delle melodie che diventa un romanzo breve più che un album composto da 11 pezzi che iniziano e finiscono.
The Zen Circus – Andate tutti Affanculo (2009)
Nel 2009, l’anno dei miei 27 anni, ero decisamente più ribelle di quanto lo fossi stata gli anni precedenti. Ribelle ascoltatrice, ribelle politicamente impegnata ma anche lettrice ribelle. Avevo una grande voglia di mandare tutti a fanculo perché sentivo, prima di ogni cosa, che non contava proprio nulla l’esercizio del mio diritto e dovere di votare (Berlusconi IV, anyone?).
E poi, boom: gli Zen Circus mi piazzano l’album “Andate tutti Affanculo” e mi chiesi se si potesse utilizzare una parola di quel tipo nel titolo di un album. Li ascoltai dopo aver comprato l’album in uno dei negozi di dischi ancora esistenti a Rimini.
Dieci tracce che si impongono come un Cahiers de doléances in un paese dominato dal qualunquismo dell’uomo comune che rifiuta ideologie e passa sopra alle leggi come uno schiacciasassi. Un album di rottura all’epoca, così come ora. Basti ascoltare proprio la title tack che con i suoi otto minuti mette in piazza lo stato dei fatti dei primi anni 2000. A ben vedere, non è poi così diverso dall’oggi.
Non so se il messaggio di questo album sia arrivato a tutti. Certo è che a me come a molti miei coetanei aveva dato quella spinta per dire “Io che rimango in Italia e non fuggo via, non sono codarda e impaurita dal lasciar casa: voglio solo combattere il sistema dall’interno”.
A questo album c’è da dire grazie. Grazie per avermi fatto sentire Italiana in un periodo dove sentirsi tali sembrava essere sinonimo di sfigato.
Fast Animals And Slow Kids – Animali Notturni (2019)
Quante volte abbiamo sentito dire “Eh ma sono cambiati, non sono più quelli dei primi tempi”.
E meno male, possiamo dire. L’evoluzione va al pari passo con la crescita, con la maturazione professionale e personale e che questo si traduca nella musica di un artista è più che giusto e legittimo. Rimanere sempre gli stessi, non cambiare mai, non è sinonimo di coerenza, ragazzi.
E dopo aver tacciato una band di aver perso lo spirito originario arriva l’infelice affermazione: “Si vede che ora c’è dietro una major”.
Questo lo sanno bene i FASK che nel 2019 ci hanno presentato il lavoro “Animali Notturni” primo album con una major (vedi sopra) che fa una sintesi del passato, rielaborandone i risultati in chiave matura, più consapevole e forse meno scontata di quello che ci saremmo potuti aspettare da loro.
Comprensibile dunque lo spaesamento inziale di un pubblico che era stato abituato a pane e Calci in Faccia ricordando poi l’ultimo album del 2017 dal titolo “Forse non è la Felicità” che a mio parere altro non è che il preludio ad “Animali Notturni” come una risposta ad una domanda retorica posta due anni prima.
Sonorità mai sentite dai FASK in questo bellissimo album, una moltitudine di linee sovrapposte di strumenti che compongono un quadro dai mille colori e sfumature che si apre verso un nuovo mondo, forse anche un modo nuovo di prendere e vedere la vita.
Con archi e strumenti prima non utilizzati divengono ancora una volta “inaspettati” i FASK e forse l’album, non subito apprezzato dalla vecchia guardia di fan, è il loro più bello e complesso.
Ministri – Cronaca Nera e Musica Leggera EP (2021)
In chiusura, non un album ma un EP che con solo quattro brani riassume artisticamente il trio dei Ministri e che sintetizza gli anni vissuti in pandemia. Un album che risponde con fermezza alla frase “Usciremo migliorati o peggiorati da questa pandemia?”.
La risposta viene racchiusa nel testo di “Peggio di Niente”:
E poi improvvisamente
Ho visto gente normale calpestare altra gente
Ed era peggio di niente
Musicalmente non è una rottura, i Ministri rimangono fedeli a loro stessi, chitarre e suoni che come sempre spettinano, quasi come un parallelismo alla fedeltà di quello che si è, così come fedeli si deve rimanere alla cronaca, alla realtà delle cose senza edulcorazioni.
Ma a livello testuale si spingono verso una critica all’andamento esageratamente positivo, quello del voler essere ottimisti a tutti i costi. Così come da titolo, nel mondo ci sono sempre più problemi ma la musica, così come altre realtà, sembra voler dare solo messaggi positivi come spinta al non pensare a quello che ci circonda.
I Ministri invece urlano (da notare le voci al secondo 00:08 della primo brano dell’EP) l’imbruttimento della società. Un EP denso come un album da 14 brani, che racconta una storia attuale che necessitava un capitolo a parte all’interno della loro discografia.
La musica dei primi vent’anni del nuovo secolo ha probabilmente riproposto la ribellione degli anni ’70, seppur con toni differenti. Che si possa essere ribelli gli artisti qui proposti l’hanno dimostrato nei modi più diversi, con la riaffermazione del proprio stile, con il cambiamento melodico, con i testi complessi.
Da questo momento storico in avanti forse cambieranno nuovamente le metodologie della ribellione, forse riusciremo a distinguere nuovi generi e si imporranno sulla scena nuovi artisti e speriamo che la musica possa essere valorizzata anche come portavoce politica, ancora un po’ e ancora di più.
a cura di
Sara Alice Ceccarelli