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Il duo proveniente dall’Ohio conclude un percorso di nove anni con il settimo e ultimo LP, ambizioso dal punto di vista lirico ma disomogeneo dal punto di vista sonoro

É difficile credere che siano passati più di nove anni dall’uscita di “Stressed Out”, album che ha catapultato i Twenty One Pilots nella stratosfera. La storia del gruppo è sempre stata legata in parallelo alla battaglia del cantante Tyler Joseph per la sua salute mentale. “Blurryface” del 2015 ha introdotto un personaggio con lo stesso nome per impersonificare l’ansia e la depressione del frontman, mentre “Trench” del 2018 ha ampliato le loro visioni, guidati dal batterista Josh Dun. Alla sua uscita, divenne il miglior disco dei Twenty One Pilots, poichè abbinava la costruzione di un mondo grandioso con un’esperienza musicale cinematografica, con atmosfere avvolgenti e i migliori testi della band fino ad oggi. Sfortunatamente, il seguito “Scaled and Icy” non rispettò le aspettative, con risultato una raccolta pop più o meno mediocre.

A quanto pare, nel bene e nel male, Clancy si è distinto da entrambi questi dischi. Invece che aderire ad un’estetica piuttosto che ad un’altra, l’album risulta più dispersivo. Attinge da diverse ere passate dei Twenty One Pilots, risultando un miscellaneo di stili con cui la band ha giocato nel tempo. “At the Risk Of Feeling Dumb” è sostenuto da un ritmo reggae che ricorda “Ride”, mentre “The Craving (Jenna’s Version)” è essenziale come un pezzo dei Twenty One Pilots non lo era dai tempi di “House of Gold” e “Truce”.

Il duo introduce anche alcuni nuovi elementi, come gli archi in “Vignette” e “Lavish”, ma queste aggiunte si presentano più come abbellimenti che come reinvenzioni. In teoria, un tour de force di Twenty One Pilots sarebbe un modo interessante per concludere una storia di lunga data, ma purtroppo l’esecuzione di Clancy spesso lascia molto a desiderare, soprattutto nella seconda metà.

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La band durante un live
La prima parte

la prima metà, però, è abbastanza forte. Il singolo principale “Overcompensate” è un inizio ambizioso per il disco, accelerando su un’introduzione di synth per un minuto e mezzo prima che il ritmo si spezzi magistralmente nella prima strofa. Sempre nella fase iniziale si può ascoltare “Welcome back to Trench”, seguito dal testo di “Banditos”, che richiama l’uscita del 2018 e afferma che siamo ancora una volta immersi nelle vecchie atmosfere dei Twenty One Pilots. La batteria immediatamente aggressiva ricorda anche “Heavydirtysoul”, l’apertura di Blurryface che ha introdotto i fan alla mitologia della band. Anche se “Overcompensate” potrebbe non essere esplosivo come l’intro di Trench, “Jumpsuit”, sicuramente aumenta l’hype (e farà sicuramente esaltare il pubblico dal vivo).

“Next Semester” è un contagioso pezzo ispirato al punk, completo di un ritornello carico e di alcune delle voci più espressive di Joseph del disco. È una delle migliori tracce e presenta anche un breakdown di chitarra acustica che è allo stesso tempo appropriato e cuore dei Twenty One Pilots. La sequenza di tre tracce dopo “Next Semester” mantiene lo slancio, soprattutto con i ritornelli che ti risuonano in testa alla fine di ogni canzone. “Routines in the Night” è forse il testo più accattivante e fonde armoniosamente il sottofondo musicale con le battaglie mentali a tarda notte del cantante.

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E la seconda parte…

Sfortunatamente, ci sono molti momenti del disco in cui la voce di Joseph non va come dovrebbe, in particolare quando “rappa”. I versi di “Backslide” e “Routines in the Night” sono piuttosto imbarazzanti, e da lì in avanti la situazione non va proprio migliorando per i Twenty One Pilots. Oltre alla presenza di questi archi che sono più belli concettualmente che nella realtà, “Vignette” e “Lavish” portano del rap che non fa nulla per inserirsi nelle atmosfere circostanti, e i versi di “Snap Back” ne sono ulteriore dimostrazione.

Anche quando c’è meno rap, la produzione spesso risulta piatta, come nel caso di “Navigating” e “At the Risk Of Feeling Dumb”. Entrambe le canzoni dei Twenty One Pilots tentano di essere schiette e incisive, ma il modo in cui le chitarre e il basso si uniscono non ha lo stesso impatto di altri pezzi comparabili che troviamo in Trench. In particolare, allora Joseph aveva ottenuto un tono basso incredibilmente distorto su quel disco e purtroppo in Clancy se ne sente la mancanza.

Fortunatamente, alcuni dei momenti finali del disco rimangono impressi nella mente : “Oldies Station” è un dolce messaggio di Joseph ai più giovani appassionati dei Twenty One Pilots, incoraggiandoli a continuare ad andare avanti, anche se crescere è difficile. È sincero, diretto e rappresenta un gradito cambio di ritmo. Infine, l’outro “Paladin Strait” presenta una raffinata stratificazione di synth ed è una bella conclusione per il disco. Nel tipico stile dei Twenty One Pilots, la musica suona gioiosa ma i testi sono tutt’altro, con Joseph che ripete di aver “passato il punto di non ritorno”. Perdendo alla fine la battaglia che aveva iniziato sia in questo disco che all’inizio dell’intera saga del duo nove anni fa. Se questa è la fine della storia, la conclusione è desolante. Siamo veramente arrivati ai titoli di coda?

a cura di
Mattia Mancini

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