BOETTI: il dualismo nel suo “Romanzo Porno”

BOETTI racconta l’umanità nella sua imperfezione nel suo secondo album, “Romanzo porno”, disponibile dallo scorso 24 novembre per Manita Dischi e .Belva.

Il progetto, partendo dal vissuto personale dell’artista, silenzioso spettatore delle storie delle persone che lo circondano, mette in musica le colpe e le conseguenti emozioni che queste suscitano in modo trasparente e fragile. Attraverso suoni sperimentali e dinamici, opposti ad uno stile prettamente pop e cantautorale, i sensi di colpa dell’artista sono messi sotto i riflettori, non più nascosti dietro artifici retorici o immagini ermetiche, ma mostrati in testi impattanti, diretti e crudi come la vita stessa.

Affrontiamo senza imbarazzo “Romanzo porno” di BOETTI in questa intervista.

Ciao Damiano! Il tuo nuovo album “Romanzo porno” è un ossimoro tra romanticismo e volgarità, nel senso di rappresentazione della crudezza della vita. Nella tua vita quale tra questi due lati vince sul tuo sguardo?

Sono due facce della stessa medaglia, molto difficili da equilibrare. Forse per me il “romanticismo”, inteso come tensione interiore verso il sentimento, rappresenta paradossalmente un lato più razionale e logico, ordinato; mentre il “porno”, ovvero l’osceno in quanto privato, mi suggerisce più una sensazione di impulso animale, di non totale cura delle possibili conseguenze. Credo che gli errori e le colpe ci qualifichino più dei successi.

Una delle tematiche principali e più evidenti del disco, riguarda i sensi di colpa che senti verso diverse situazioni narrate nei brani. Hai scritto questo album per espiare i tuoi “peccati” o essi sono usciti fuori da soli durante il processo creativo?

Sicuramente non è stata una cosa premeditata, non ho prestabilito di scrivere un intero album che parlasse quanto più a fondo possibile del tema della colpa. Piuttosto è stata una cosa che ho notato via via che nascevano i brani e che ho scelto di assecondare. Anche in questo aspetto il processo creativo mi risulta abbastanza bipolare: da una parte occorre controllare e direzionare l’ispirazione verso un campo operativo già definito; dall’altra è sempre bello lasciarsi trasportare da ciò che esce di getto in fase di scrittura.
Un po’ come organizzare un’improvvisazione.

“Melancholia” e “Reality” prendono nome e spunto dai film di Lars Von Trier e Matteo Garrone. Ti reputi un cinefilo? Ti capita spesso che un film ti dia l’idea per una canzone? Hai mai immaginato di realizzare il contrario e su quale tua canzone?

Da italiano medio cresciuto negli anni ‘90/2000, per me i film e la televisione sono un appuntamento quasi fisso prima di andare a dormire. Penso che lo spunto per la scrittura si nasconda in ogni cosa e possa arrivare in qualsiasi momento. Entrare in altri mondi, altre storie, altri personaggi che dialogano può sempre accendere la miccia. Nel caso di “Melancholia” e “Reality” il testo contiene così tanti riferimenti al film che ho voluto mantenere anche l’indicazione del titolo originale. In altri casi, invece, si è semplicemente trattato di un concetto o di una frase estrapolati da contesti imprevedibili, come un film horror o una puntata dei Simpsons.

Mi interessa la contaminazione sotto ogni aspetto e, considerata l’epoca in cui viviamo – in cui tutto è già stato fatto/detto/scritto, credo che portare un mezzo comunicativo dentro un altro può essere stimolante e originale. Per questo non escludo di poter tradurre le mie canzoni in un cortometraggio o (cosa che poi ho fatto) in un concept fotografico. La multimedialità aiuta a trasmettere il messaggio.

I visual sono stati realizzati dalla fotografa Ornella Mercier che ha saputo dare un taglio voyeuristico e contemporaneamente repulsivo alle immagini. Vorresti raccontarci perché avete scelto questa visione e immaginario per raccontare il tuo nuovo album?

Lavorare con Ornella Mercier è stato fantastico, perché è riuscita a capire (a tratti definire ancora di più) il senso delle canzoni e concretizzarlo in fotografia. Una parte dell’immaginario estetico dell’album era per me già chiara, ma la sua idea di inserire i soggetti anziani è stata risolutiva. Il corpo nudo di per sé provoca in noi un senso di intromissione nel privato di quella persona; il corpo nudo di un anziano, però, manifesta anche aspetti, imperfezioni che istintivamente sentiamo di dover rifuggire, ma che allo stesso tempo ci attirano.

Questo senso contraddittorio, misto tra imbarazzo, colpa e fastidio/ struggimento, vorrei che fosse il mood guida per l’ascolto del disco.

A livello musicale sentiamo sperimentazione, ricerca di nuovi suoni elettronici, rispetto al tuo precedente album “Blue”. Come mai questa scelta sonora? Rappresenta per te una crescita? E dove pensi ti porterà?

L’impianto principale di questo album è fondamentalmente chitarra/pianoforte e voce. Volevo riconciliarmi con il mio essere cantautore, ripartire dall’inizio, riscoprendo le mie radici. Il tentativo di attualizzare le sonorità pescando dalle infinite possibilità che oggi la tecnologia può offrire a livello compositivo è stato sia un modo pratico di imparare a utilizzare programmi come Logic e ProTools, sia  uno step di produzione fatto in studio insieme ad Andrea Pachetti. Stando ai feedback ricevuti, le canzoni più apprezzate sono quelle che si sono allontanate di più dalla forma originaria, segno che abbiamo fatto bene ad azzardare qua e là.

Rispetto al futuro, penso che questo disco fosse necessario per avere consapevolezza dei miei mezzi e smettere di aver paura, di ridurre l’espressione a un canone – anzi a volte al canone che va per la maggiore. Mi sento di aver fatto un passo indietro e due in avanti.

Vogliamo chiudere questa intervista con una domanda difficile per te: Tra tutte le colpe di cui parli qual è quella che ancora ti pesa maggiormente o senti di non aver ancora affrontato?

Quella che non ho ancora scritto. Scrivere determinate cose è comunque un modo, non tanto per risolverle, quanto almeno per prenderne coscienza. A volte mi spaventa il fatto di aprire gli occhi su una situazione solo dopo averla elaborata, processata attraverso la scrittura. Altre, molto sporadiche, mi sembra addirittura di aver descritto qualcosa che si è avverato solo in seguito. L’indagine, l’autoanalisi è per me uno degli aspetti principali dello scrivere canzoni, quindi sono grato a questo lavoro perché mi ha permesso di capire meglio il bello e il brutto di essere umani.

a cura di
Redazione

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